Devo dire che ho faticato parecchio a mettere in ordine i nove film di questa categoria, alcuni infatti sarebbero a pari merito.

Il titolo di questo film di Hong Kong, My Prince Edward, deriva da un gioco di parole tra il fatto che la protagonista lavora nel centro commerciale Prince Edward e che Edward è anche il nome del suo fidanzato di lunga data, tanto lunga data infatti che ormai è ora che si sposino. C'è solo un problemino: Fong è divorziata, e siccome la cosa verrà scritta nel certificato di matrimonio, teme la reazione di Edward e della futura suocera che ne sono all'oscuro. La cosa però si rivela ancora più grave: Fong scopre che il primo matrimonio non è mai stato annullato. Si trattava di un matrimonio di convenienza fatto per soldi, il marito era un cinese che voleva il passaporto di Hong Kong; Fong non l'ha mai più rivisto e spera di annullare il matrimonio unilaterlmente, ma ci vogliono due anni, e intanto l'uomo riappare chiedendole di restare sposati ancora due mesi in modo che si completi il periodo di dieci anni e lui possa avere il passaporto. Questo stallo dà a Fong modo di riflettere che in fondo non ha nessuna voglia di sposare Edward che è troppo possessivo, nè ha voglia di essere comandata a bacchetta dalla futura suocera molto invadente. Insomma, è la storia di una presa di coscienza e del mettere finalmente al primo posto i propri desideri anzichè sottostare alle aspettative della società.

I-documentary Of the Journalist è firmato da Mori Tatsuya che è considerato uno dei migliori documentaristi giapponesi viventi. In questo suo ultimo lavoro segue Mochizuki Ibuko, una giornalista del Tokyo Shinbun, nota per essere una che non ha peli sulla lingua e che non si trattiene dall'affrontare questioni spinose con personaggi potenti. Nel film la vediamo infatti impegnata con alcuni argomenti che hanno scosso l'opinione pubblica e messo in cattiva luce il governo Abe: il referendum contro la costruzione di una base militare a Henoko, Okinawa; il caso dei coniugi Kagoike che comprarono a prezzo stracciato - tramite la mediazione della moglie di Abe – un terreno per costruire una scuola dove i bambini venivano indottrinati contro cinesi e coreani; lo stupro della giornalista Itou Shiori ad opera di uno stretto collaboratore di Abe, eccetera. Mochizuki è una di quelle persone che non si lasciano intimidire; alcune delle scene più esasperanti del film sono quelle in cui fa domande al portavoce del governo, venendo continuamente interrotta e ricevendo risposte brusche e laconiche. E' molto bello il ritratto che esce di questa donna coraggiosa, ma sono stata contenta anche del fatto che venga mostrato come i giapponesi non sono affatto quel popolo passivo e sempre pronto a chinare il capo davanti alle autorità che ci viene dipinto, infatti nel film ci sono diverse scene di proteste pubbliche e manifestazioni.

Se questo film si trova qui è solo per colpa del finale; tra l'altro la sera della proiezione c'è stato un problema tecnico e mancavano proprio gli ultimi dieci minuti. Per tirare le somme ho aspettato pazientemente per più di un'ora che sistemassero le cose e purtroppo sono rimasta molto delusa dalla conclusione di questo film che fino a quel momento consideravo uno dei migliori visti - di fatto è arrivato terzo nella votazione popolare. I WeirDo/Freak, girato in quel di Taiwan con uno smartphone, si focalizza su un ragazzo e una ragazza, entrambi affetti da disturbo ossessivo-complessivo, che essendo germofobici escono sempre bardati con impermeabile, guanti e mascherina, e che passano la maggior parte del tempo disinfettando casa. Si conoscono, s'innamorano, vanno a convivere e tutto procede bene fino a quando una bella mattina lui non si sveglia guarito. Il graduale ritorno alla vita normale segnerà l'allontanamento dalla ragazza. E a questo punto, colpo di scena: è lei che guarisce e riflette, con dei flashback al contrario – nel senso che le scene sono le stesse ma sono invertite le parti – su come il suo cambiamento porterebbe alla rottura nel rapporto. Il finale didascalico e deludente avviene proprio a questo punto; se la prima parte del film è veramente ben fatta e gradevole, originale e tenera, la spiegazione della morale del film mi ha fatto cadere i maroni. Peccato peccato peccato.

Davvero molto divertente Dance with me, l'ultimo film di Yaguchi Shinobu, che è un musical o quasi. La storia ha inizio quando un'impiegata di una ditta prestigiosa viene ipnotizzata per sbaglio e comincia a cantare e a ballare ogni volta che sente una qualunque musica. La situazione è ovviamente insostenibile per la poveretta che, dopo un'inutile visita presso un medico, si decide ad assumere un investigatore privato per rintracciare l'anziano ipnotizzatore che nel frattempo se l'è data a gambe perchè rincorso dagli strozzini. Comincia così un inseguimento da Tokyo a Niigata per finire a Sapporo, tra ex-fidanzate psicopatiche, scontri tra gang a colpi di hip-hop e seduzioni a scopo di furto, il tutto tra un balletto e l'altro. Ce ne vorrebbero di più di film così, che regalano grandi risate senza fare ricorso a trivialità.

Chan-Sil ha quarant'anni ed ha dedicato tutta la sua vita al cinema; ha sempre lavorato come produttrice per lo stesso regista, ma quando l'uomo muore improvvisamente, lei si ritrova disoccupata. Questo è un punto di svolta nella sua vita; in ristrettezze economiche, va a vivere in affitto da una vecchietta e si mette a fare la donna delle pulizie per un'attrice del suo vecchio team. Chan-Sil è sopraffatta dal dolore per aver perso tutto; la sua convinzione era che avrebbe fatto cinema per sempre. Ora si trova a non sapere come affrontare il futuro; rimpiange di non essersi preoccupata di sposarsi e mettere su famiglia, e si sente attratta da un uomo più giovane di lei, un regista altrettanto disoccupato che si guadagna da vivere facendo l'insegnante. Lui però la vede solo come un'amica e da un certo punto di vista è una fortuna perchè in fondo trovarsi un uomo e sistemarsi non è ciò che lei vuole veramente. Alla fine sul suo viso tornerà il sorriso e nel suo cuore la gioia di vivere. Lucky Chan-sil/There are many hallways è un ritratto davvero molto bello di una donna che esce dagli schemi, girato in maniera coerente fino alla fine; un gran bel lavoro che ha di certo meritato i premi vinti al Busan International Film Festival.

Nella piccola città di Changfeng tutti si conoscono e sembra che non succeda mai niente, come se il tempo fosse sospeso e il mondo di fuori facesse la sua apparizione solo grazie ai film proiettati nel cinema cittadino. Una banda di monelli fa da filo conduttore alla narrazione dei piccoli eventi: l'invasione dei topi, la clinica dentale, la relazione tra la madre di uno dei ragazzini e il dentista, l'amore non corrisposto dello stesso ragazzino per la figlia del proprietario del cinema e la cotta di quest'ultima per un aspirante poeta. Tutto cambia e nulla cambia a Changfeng; alla fine il ragazzino che è voce narrante viene spedito in città perchè è troppo indisciplinato. Nel suo partire si porta dietro la nostalgia per quel posto e la certezza di ritrovarlo tale e quale al suo ritorno, malgrado tutti dicano che sta cambiando. Difatti questo Changfeng Town è un film sulla nostalgia, che fa apparire quasi magica l'atsmofera del paesino cinese immaginario in cui è ambientato.

Colorless/See you in Sarugakuchou segna il debutto del regista Koyama Takashi che dirige Ishikawa Ruka e Kaneko Daichi in una storia che parte leggera come una commedia e si conclude con profonda amarezza. Oyamada è un giovane fotografo freelance che per lavoro conosce l'aspirante attrice Yuka. Il ragazzo s'innamora di lei e, forse proprio grazie a questo, le scatta delle bellissime foto che fanno decollare la sua carriera. Benchè da principio Yuka non sembri accettare le sue avances, i due finiscono per mettersi insieme. Oyamada però non sa che Yuka gli tiene nascoste molte cose. Intanto per pagare il corso di recitazione lavora in uno di quei centri per massaggi che sono in realtà una copertura per forme più o meno complete di prostituzione, e uno dei suoi clienti è uno dei capi di Oyamada (e anche quello che gli ha proposto il compito di ritrarre Yuka la prima volta); poi Yuka ha un ragazzo col quale convive, ma che la lascia, per cui va stare con Oyamada perchè non ha un altro posto dove abitare, e intanto scrive all'ex dicendogli che lo ama ancora. Oyamada comincia a sospettare qualcosa, però non vuole credere che Yuka gli menta perchè la ama veramente. Yuka intanto si sbatte di qua e di là senza riuscire a trovare un ingaggio, e intanto invidia una compagna di corso che invece ce l'ha fatta. Se il personaggio di Oyamada fa tenerezza perchè si tratta di un ragazzo onesto e sincero, a Yuka viene da dare degli scapaccioni. O forse no, perchè è logico chiedersi se è davvero una stronzetta o se piuttosto non fa ciò che fa perchè vuole realizzare il suo sogno prima e semplicemente sopravvivere poi. Quello che è certo è che si tratta di un carattere per il quale è difficile provare simpatia. Di questo film mi è piaciuta molto la maniera in cui è stata costruita la storia, mostrando prima le cose con gli occhi di Oyamada e quindi con quelli di Yuka.

A Beloved Wife/Kigeki Aisai Monogatari è diretto da Adachi Shin che è anche autore del libro dal quale ha poi tratto la sceneggiatura. Si tratta di uno spaccato famigliare tragicomico - più comico che tragico, in realtà. Gota (interpretato da Hanada Gaku) è uno sceneggiatore disoccupato sposato da dieci anni con Chika (Mizukawa Asami); i due hanno anche una figlia, Aki. Gota, come puntualizza all'inizio del film, ama fare sesso, ma sono già due mesi che la moglie non gliela dà e si sente molto frustrato. Chika, dal canto suo, è quella che deve mantenere la famiglia col proprio lavoro ed è molto frustrata a sua volte a causa dell'inettitudine del marito. Gota riceve una chiamata dal suo editore che gli dice di preparare una sceneggiatura su una ragazza che prepara gli udon alla velocità della luce; gli dice anche che un suo soggetto è stato approvato e presto diventerà un film. Gota insiste per recarsi a incontrare la ragazza degli udon e necessariamente deve essere accompagnato da Chika, sia perchè lui non ha un soldo per il viaggio, sia perchè non ha la patente. Salta però fuori che la storia sulla ragazza la sta già scrivendo un altro e pure il film viene cancellato. Il viaggio sarà così nuovamente terreno di scontro per la coppia, anche se alla fine, nonostante tutto, resteranno insieme. Una bella storia che mostra gli alti e bassi di una lunga convivenza, la difficoltà di portare avanti un lavoro creativo che non rende da un lato, la concretezza di gestire la vita quotidiana dall'altro. Alla fin fine però Gota e Chika si amano ed è questo quello che conta.

In tempi di social networks passare dalle stelle alle stalle è questione di un attimo. Lo impara a sue spese l'adolescente Masao. Una sera, in preda alla nostalgia del passato, carica su Instagram una foto di tre anni prima nella quale stava giocando a pallamano; sullo sfondo si vedevano le case provvisorie nelle quali abitava – e abita ancora – in seguito al terremoto di Kumamoto. Probabilmente a causa di quello sfondo la foto riceve molti like. Masao allora, con l'aiuto di un amico, comincia a postare altre foto in cui fa finta di giocare a pallamano sullo sfondo di altri posti riconoscibili di Kumamoto e inventa un hastag dedicato - #Handballstrive - ottenendo un sacco di successo. Questo successo galvanizza un loro senpai che effettivamente giocava, ma la squadra maschile della scuola non esiste più. Mentre il senpai comincia a reclutare gente per ricreare la squadra, anche Masao passa dalla finzione alla realtà e decide di impegnarsi seriamente. Purtroppo qualcuno riesce a hackerare il suo telefono trovando un video dove si capisce che le prime foto erano una montatura, e dopo la sua pubblicazione comincia la shitstorm, le donazioni vengono revocate, anche la TV che si era interessata alla squadra sparisce. Dopo tutta questa merda però Masao si riprende, la squadra si riforma e la vita torna a sorridere. Un bel film sulla crescita e la maturazione non solo di Masao, ma anche dei suoi amici, i quali certamente avranno imparato ad apprezzare la realtà delle cose molto più della falsa celebrità di Instagram. Interessante l'ambientazione nella Kumamoto post terremoto.