venerdì 31 luglio 2020

luglio anomalo

la Via degli Asini a Brisighella, paesino dove mi sono recata
per l'unica gita fuoriporta del mese

Ma quando mi ricapiterà mai più un'estate come questa? Già avevo considerato miracoloso essere arrivata a fine giugno senza morire di caldo, ma non mi sarei mai immaginata che anche luglio sarebbe andato così bene. Difatti, a parte alcuni giorni, le temperature non sono state eccessive e di notte ha rinfrescato, così che dentro casa si è stato bene. Quest'ultimo fattore mi ha consentito di continuare a trafficare come mai ho fatto le scorsi estati, infatti ho fatto altri vestiti e mobili per le bambole. La produzione procede con grande divertimento e altrettanto grande soddisfazione quando le cose mi vengono bene. Ho anche tentato una bonifica della cantina, ma la verità è che ciò che contiene è roba della quale al momento non riesco a disfarmi e quindi di posto in più praticamente non sono riuscita a recuperarne. Prossimamente però ho in mente la riorganizzazione di uno spazio che al momento è stato trascurato. Per il resto, ho continuato a uscire poco, a parte un pranzo con il marito e un paio di uscite con le amiche.

mercoledì 29 luglio 2020

letture di luglio


Il piccolo paese era in festa. Eppure si celebrava le nozze dei due giovani più poveri del luogo e dei dintorni. Ma Lucietta e Rigo avevano saputo farsi amare e stimare da tutti.


Le letture del mese cominciano con la consueta polpetta ad opera di Carolina Invernizio; questa volta il romanzo è un po' più breve e manca la figura della plagiatrice, per il resto sono presenti tutti gli altri elementi: la fanciulla bellissima e buonissima a questo giro si chiama Lucietta ed è sposata con l'altrettanto bellissimo e buonissimo Rigo. Il problema è che Simone, un personaggio equivoco ma molto ricco che fa affari in America (che non si sa è davvero l'America o no, visto che già in un'altra occasione si parlava di America e poi è saltato fuori che intendevano l'Inghilterra XD) si è incapricciato di lei e per averla tenta Rigo con la prospettiva di un facile arricchimento. Il piano sembra funzionare fino a quando Simone non tenta di violentare Lucietta la quale, avendo avuto una sorta di presentimento, è uscita di casa armata di coltello. Pur di difendere il proprio onore, la ragazza uccide l'uomo. In paese però nessuno le crede e anche il processo sembra volgere a suo sfavore; si salva solo grazie a un giovane avvocato appassionato che le crede. Poi succedono altre cose, Lucietta trama vendetta, viene creduta morta, torna come figlioccia di un ricco inglese, eccetera. La polpetta è servita!




Uscivamo dalle gallerie di roccia del sincrotrone, investiti dal sole del mattino; davanti a noi, sotto la parete a picco del monte, si stendeva il panorama di Lake Valley.

Sinceramente non mi è piaciuto un granchè questo The Time Factor, romanzo del 1964 a firma Rex Gordon - pseudomino dell'inglese Stanley Bennett Hough, scrittore molto prolifico negli anni cinquanta e sessanta. Alcuni scienziati che lavorano a un sincrotrone si ritrovano invece con una sorta di macchina del tempo; le telecamere mostrano un caverna con i resti del laboratorio distrutto e il teschio di uno di loro. Decidono perciò di mandare qualcuno a investigare di persona, e quel qualcuno si ritrova in un paesaggio irriconoscibile abitato da umani dalle sembranze mostruose. Immagino che il succo della storia fosse ragionare sul futuro, se sia possibile cambiarlo oppure no, però non mi ha convinto. 




A tenergli gli occhi addosso, il barco non pareva in movimento. Ma a distorglierne per un po' lo sguardo posandolo sulle onde grigie che venivano incontro dai piovaschi, e poi a riportarlo sul barco, si trovava già un po' spostato dal punto di prima.


Un'altra bella sorpresa frutto del caso questo romanzo di Howard Clewes, autore attivo anche come sceneggiatore; questo del 1938 dovrebbe essere il suo primo lavoro. La storia si svolge tutta nell'arco di poche ore; nella cittadina mineraria di Barry fa ritorno, dopo otto anni di assenza Evan. Egli era scomparso a pochi giorni dal matrimonio con Sara senza più dare nessuna notizia di sé. Dopo averlo lungamente atteso, tutti si convincono che sia morto, a parte sua madre, che continua ad attenderne il ritorno e che ha caricato questo evento di aspettative. Le cose a casa infatti non vanno bene; la bottega fa pochi affari, il vecchio padre è rimasto paralizzato e instupidito dopo un incidente in miniera, il fratello minore Tommaso campa con il sussidio di disoccupazione perchè è comunista e i capi non vogliono assumerlo in quanto fomenta gli animi dei colleghi. Quanto a Sara, da poco si è trasferita a Cardiff con un uomo di colore, cosa che ha suscitato un certo scandalo. Evan però non è tornato per restare, ma solo per vedere se può portare Sara con sé e ripartire in ogni caso. Il suo arrivo però mette in moto una serie di eventi. Una trama cruda, dallo stile che in effetti ricorda quello di una sceneggiatura per la sua essenzialità; Evan è il deus ex machina, il fattore di disturbo in un equilibrio precario destinato a spezzarsi. I personaggi vivono tutti sospesi, in attesa di qualcosa, non rendendosi conto che la vita va presa di petto nel presente e che aspettare chissà che equivale solo a sprecarla. Un libro sull'inutilità delle aspettative, se vogliamo, e sulle illusioni con le quali ci convinciamo di poter andare avanti quando in realtà avanziamo brancolando nel buio come ciechi.




Spiritualità significa risveglio. La maggior parte delle persone, pur non sapendolo, sono addormentate. Sono nate dormendo, vivono dormendo, si sposano dormendo, allevano i figli dormendo, muoiono dormendo senza mai svegliarsi. Non arrivano mai a comprendere la bellezza e lo splendore di quella cosa che chiamiamo esistenza umana.


Questo libro mi prillava in cantina da così tanto tempo che non ricordo nemmeno se l'avevo raccattato a un mercatino o tramite il bookcrossing; ricordo però di averlo preso perchè mi aveva incuriosito il titolo, se non che quello originale è un serissimo Awareness. Anthony de Mello è stato un gesuita, ma anche uno psicoterapeuta indiano, e questo è il genere di libro che qualche anno fa avrei gettato allegramente nel camino, mentre a leggerlo come sono ora si è rivelato una lettura interessante, illuminante e anche divertente – grazie allo stile infarcito di aneddoti. Il titolo – quello originale – spiega chiaramente il succo del discorso: è necessaria la consapevolezza per poter vivere bene. De Mello non insegna formule magiche, ma anche tramite molti esempi cerca di portare il lettore in una certa direzione. Per quanto mi riguarda, è stato bello vedere che sono già avanti con i lavori; ho anche ancora molta strada da fare, e chissà che questo libro non mi abbia indicato una direzione. Di certo penso che sia il tipo di lettura che si può apprezzare solo se si ha già iniziato un certo percorso, diversamente sembrerebbe di leggere un testo in arabo XD




Un giorno dello scorso autunno, diedi l'ordine di demolire la piscina; stavamo infatti per lasciare “Le Betulle”, la residenza estiva della mia famiglia già da molti anni, la villa in cui ci eravamo rifugiati dopo la crisi economica del 1929.


Non è bellissima questa copertina? E bello è stato anche questo giallo, dal titolo originale di The Swimming Pool – che ovviamente ha molto più senso relativamente agli avvenimenti descritti. L'autrice, Mary Roberts Rinehart, è stata una delle più eminenti scrittrici di polizieschi di inizio secolo e molto popolare all'epoca; di lei avevo già letto e apprezzato La scala a chiocciola. In questo libro ho nuovamente apprezzato la sua maestria nel costruire il mistero; tanto di cappello, visto che ho brancolato nel buio riguardo all'identità del colpevole fino alla fine. I quattro fratelli Maynard, nati in una famiglia ricca ma rovinata dalla crisi del 1929, vivono in maniera dignitosa  benchè non certo facoltosa, a parte Judith, che ha sposato un uomo molto più vecchio di lei e appartenente a una stirpe prestigiosa. Judith è una donna bellissima e ammirata da tutti, però non ha mai amato il marito e, dopo vent'anni di matrimonio, decide di chiedere il divorzio. Alla sorella minore Lois la cosa sembra strana e di certo non apprezza che Judith, a divorzio avvenuto, anziché andare all'estero come deciso in un primo tempo, si trasferisca nella casa di famiglia, sconvolgendo la sua routine. Di fatto quello sarebbe il male minore, infatti Judith appare spaventata al limite della paranoia e si barrica nella sua stanza senza quasi più uscire, e intanto cominciano ad avvenire fatti sconvolgenti, il primo dei quali è l'omicidio di una sconosciuta il cui cadavere viene rinvenuto nella piscina. Che cosa spaventa tanto Judith? Lei non lo dice, gli altri fratelli non ne hanno idea e uno sconosciuto si nasconde nel parco della casa aggredendo gente a destra e a manca...  Decisamente in questo periodo apprezzo molto di più questi gialli vintage con poche truculenze e molto lavoro di cellule grigie XD




Di strategie per frenare lo scorrere del tempo ve ne sono molte. E tutte illusorie: infatti il tempo passa nostro malgrado. Tutt'al più, possiamo anestetizzare noi stessi e percepire il suo scorrere in modo, se non silenzioso, almeno attutito.


Circa una dozzina d'anni da avevo acquistato tre libri che parlavano di ozio; avevo cominciato a leggerne uno, ma lo avevo trovato noioso, per cui avevo abbandonato sia quello che gli altri. Poco tempo fa mi sono capitati in mano durante un riordino della libreria e ho deciso di riprovare con un titolo diverso, la scelta cadendo su questo, che non è altro che una raccolta di scritti di autori diversi. Ogni capitoletto è dedicato a una maniera diversa di impiegare il tempo oziando: leggere, scrivere, dipingere, fare musica, camminare, fotografare, ecc. Al di là del suggerimento però quello che passa è il messaggio di un vivere alternativo a quello della società contemporanea. Ovviamente l'ozio al quale si fa riferimento è quello di matrice latina, l'otium romano, non il semplice stare a ronfare sul divano. E questa concezione prevede appunto che il tempo venga dedicato ad attività che non comportano un tornaconto economico, ma che arricchiscono l'animo. Per volere e per caso io mi ritrovo in pieno in questa condizione, per cui questa lettura non mi ha insegnato nulla di nuovo, caso mai mi ha confermato che ci sono altri che l'hanno pensata come me e, spero, ancora lo fanno. Sono una mosca bianca, ma in buona compagnia XD


Pareva che tutta la neve caduta si fosse adunata lì; per viale Venti Settembre. Pareva che tutta la neve caduta su Milano fosse stata portata, da un vento furioso, su le piante, su le case, su le strade che componevano l'ampio viale.

Mia madre era una grande fan di Liala, tant'è che nella vecchia casa ci sono parecchi dei suoi romanzi. Ne lessi alcuni da adolescente, però dopo tanto tempo non ricordo più che impressione mi fecero. Questa raccolta di racconti non viena da lì, ma da uno dei soliti mercatini. Cominciato il mese con una polpetta, mi pareva giusto concluderlo allo stesso modo, di conseguenza non posso fare a meno di paragonare la Invernizio a Liala. Se la prima è melodrammatica e costruisce trame implausibili con personaggi esagerati, Liala ha uno stile molto più lezioso – non usa mai meno di tre aggettivi per volta e ama diminutivi e vezzeggiativi, tanto che la lettura a volte si è rivelata irritante per me che non amo i fronzoli – e anche i suoi protagonisti fanno parte del mondo dell'incredibile. In questi quattro racconti non ci sono vecchie plagiatrici o loschi figuri come nei libri della Invernizio, tutto gira intorno a innamorati innamoratissimi, talmente smagosi che ho rischiato il coma diabetico. Sarei comunque curiosa di riprendere in mano uno di quei vecchi romanzi per vedere che effetto mi farebbero.




“Gentleman Joe!”
“Why, if it isn't old Jimmy McGrath.”


James McGrath chiede all'amico Anthony Cade un paio di favori: recarsi in Inghilterra al posto suo – di fatto facendo finta di essere lui – per consegnare a un editore il manoscritto contenente le memorie di un importante uomo politico del centro-Europa recentemente deceduto e, già che c'è, per restituire a una donna alcune lettere che potevano servire per ricattarla. Anthony non mette piede in Inghilterra da ben quattordici anni; se n'era allontanato diciottenne per cercare l'avventura in Africa. Al suo arrivo si trova coinvolto in un intrico di politica internazionale e nella caccia a un famoso diamante scomparso da alcuni anni. Molto divertente questo giallo della divina Christie, giallo che non vede la presenza dei celebri Poirot e Miss Marple e che avevo letto da ragazzina – ragion per cui non lo ricordavo. Per quanto adorassi la signora, non ho mai letto in originale i suoi lavori ed era doveroso rimediare durante la mia recente campagna di restaurazione del secondo neurone. Ho apprezzato lo stile frizzante tanto quanto la trama interessante.

domenica 26 luglio 2020

modalità: default


Sono di partenza per la montagna. L'idea era di andare a rinfrescarmi e credo proprio che verrò esaudita: ho guardato le previsioni e benchè il tempo sia molto variabile, le massime sono ben lontane da quelle di casa. Comunque in caso di pioggia niente paura, ho in valigia due libri belli grossi e in albergo naturalmente c'è internet, male che vada starò su Netflix. Lo scopo di questa vacanza è di rilassarmi; ovviamente preferirei farlo passeggiando in pineta, ma se il maltempo non lo consente, pazienza, mi rilasserò diversamente. Mentre sono via, partiranno alcuni post programmati perchè con il cellulare non riesco a barcamenarmi; posso visionare il mio e altri blog e commentare, ma tentativi fatti in passato di postare si sono risolti in pasticci, quindi preferisco evitare. Arrivederci a presto!

venerdì 24 luglio 2020

Cursed


Per me l'estate è la stagione del fantasy da quando, da adolescente, la trascorsi leggendo La Spada di Shannara, per cui quando ho visto il trailer di questa serie approdata da pochissimo su Netflix, mi sono leccata i baffi e ho iniziato subito a guardarla. Ahimè, già la prima puntata mi ha lasciata allibita. Descritta come una rivisitazione del ciclo di re Artù, si tratta in realtà di una roba che dell'originale conserva giusto i nomi dei personaggi, ragion per cui mi sono dovuta costringere a ignorare quanto sopra e a prenderla come un lavoro originale che, per combinazione, contiene un Merlino, un Arthur, una Morgana, eccetera. Ho poi scoperto che è tratta da una graphic novel. Comunque sia, una volta che mi sono resettata sono riuscita a godermi meglio lo spettacolo. La storia verte su Nimue, giovane dotata di poteri magici ed appartenente a un popolo fatato; i Paladini Rossi – fanatici religiosi che hanno la missione di sterminare tutte le creature fatate – assaltano il suo villaggio e uccidono sua madre che però, prima di morire, riesce a consegnarle una spada con la raccomandazione di portarla a Merlino. L'eroina della situazione è dunque Nimue che nel ciclo arturiano originale è la Dama del Lago, ovvero colei che consegna Excalibur ad Artù. Tuttavia, come dicevo, qui è tutto stravolto; non solo il contesto – hanno messo in mezzo anche i vichinghi e il papa – ma anche i personaggi sono ben diversi da quelli a cui siamo abituati. Le dieci puntate di questa prima stagione coprono un arco temporale breve ed è difficile capire come procederà la storia. Quello che posso dire è che vi ho riscontrato i pregi e i difetti tipici delle produzioni più recenti – almeno secondo il mio parere. Intanto siamo immersi come sempre nel politicamente corretto per cui, per dirne due, Morgana è lesbica e Artù è di colore - e non lo dico per lamentarmi, dato che è interpretato da quel gran gnocco di Devon Terrell – poi c'è il solito dispiego di truculenze e ripugnanze che non possono mancare perchè sennò il pubblico si annoia. In generale non posso dire che non sia un prodotto godibile, prova ne è che me lo sono vista in poco tempo, però non mi ha nemmeno convinta del tutto. Temo, malgrado il reset, di essere troppo legata alla leggenda classica di Artù per apprezzare questo pasticcio.

mercoledì 22 luglio 2020

Mystic Pop-up Bar


Tra una cosa e l'altra era da un po' che non mi vedevo uno sceneggiato coreano. La scelta è caduta in modo del tutto casuale su questo Mystic Pop-up Bar/ Ssanggabpocha che è tratto da una webcomic di successo. L'ho trovato perfettamente riuscito per il suo mix di commedia e momenti commoventi, nonché per la forte componente del destino – questo è un elemento che appare spesso nelle serie coreane. La giovane figlia di una sciamana, Wol-Ju, ha il potere di curare le persone entrando nei loro sogni; la fama della sua abilità giunge a corte ed ella viene convocata dalla regina perchè il principe è malato e nessuno riesce a guarirlo. Wol-Ju non solo ci riesce, ma se ne innamora, ricambiata. La relazione naturalmente è proibita, il principe deve sposare una sua pari, e la regina intima a Wol-Ju di non farsi più vedere. Intanto la chiacchiera della sua relazione con il principe si è sparsa e la ragazza non è più vista di buon occhio; le cose peggiorano al punto che sua madre la convince a fuggire, ma la notte stessa Wol-Ju da lontano vede un incendio, torna indietro e trova la madre assassinata e la casa in fiamme. E' la goccia che fa traboccare il vaso; sola al mondo e abbandonata da tutti, Wol-Ju si impicca all'albero sacro. Il suo gesto empio fa sì che anche l'albero muoia, privando la nazione della sua protezione; ne seguono guerre e disastri vari. Nell'aldilà, per farle riparare a questo peccato e in alternativa all'essere spedita all'inferno, a Wol-Ju viene ordinato di ridare la pace dello spirito a centomila persone. Sono passati cinquecento anni e a Wol-Ju mancano ancora dieci salvataggi da fare entro un mese. Il suo incontro con Kang-Bae, un ragazzo che quando tocca le persone fa confessare loro quello che hanno nel cuore, la convince che alleandosi con lui riuscirà nell'impresa. E questo non è che l'inizio; nel corso delle dodici puntate non solo i due si occuperanno di risolvere i problemi della gente, ma si troveranno ad affrontare il proprio destino. Questa è proprio la serie adatta come passatempo, per divertirsi senza stare troppo a riflettere.

lunedì 20 luglio 2020

Forever


Ecco una serie abbastanza particolare e diversa dal solito che difatti conta una stagione sola; evidentemente non è stata apprezzata abbastanza da proseguire. I protagonisti sono Oscar e June, una coppia sposata e senza figli avanti negli anta il cui rapporto si basa sulla routine. I due stanno insieme praticamente da sempre, e se da un lato questo fa sì che siano affiatati, dall'altro li rende anche annoiati. E' June soprattutto che prova insofferenza, tanto che propone un cambio di programma: invece della solita vacanza sulla casa in riva al lago, perchè non andare a sciare? Oscar accetta, solo che ci lascia le penne. La sua dipartita getta June nella depressione, e quando infine le cose sembrano cominciare a girare per il verso giusto, ecco che muore anche lei. L'aldilà è il tipico quartiere residenziale di periferia e June vi incontra subito Oscar, con il quale, anche da morta, riprende la solita vita abitudinaria. L'arrivo di una vicina però le farà tornare la voglia di cambiamento. Serie purtroppo breve, visto che gli episodi oltre che pochi sono pure corti, che mi è piaciuta per questo suo mostrare le dinamiche di una coppia come tante, con una lunga convivenza che appare a tratti logorante; niente di drammatico, eh, si tratta di una commedia anche se fa riflettere. E peccato che non saprò probabilmente mai che ne è di Oscar e June dopo la loro fuga in barca...

sabato 18 luglio 2020

L'intendente Sanshō - Mori Ōgai



Camminava, lungo la strada che attraverso Kasuga portava a Imazu, in Echigo, un insolito gruppo di viandanti. La madre, trent'anni appena, i due figli, la maggiore di quattordici e il minore di dodici e una domestica di quaranta circa che incoraggiava i due ragazzi ormai stanchi a proseguire.

Sanshō Dayū 山椒大夫 è la versione definitiva data da Mori Ōgai, di una vecchia leggenda che si tramandava in Giappone con diverse varianti regionali. Si tratta in realtà di un racconto, difatti il libriccino è esile e mi sa che prefazione e postfazione sono lunghe quanto il racconto stesso; sono comunque entrambe necessarie per poter capire bene che cosa ho letto. Ōgai ha ripreso spesso fatti storici o, come in questo caso, leggende; qui si va molto indietro nel tempo, intorno all'anno mille, e lui si è preoccupato di verificare che i personaggi storicamente avessero senso. La trama è semplice: perse le tracce del capofamiglia, una donna parte alla sua ricerca insieme ai due figli e alla domestica. Ad un certo punto del viaggio arrivano in una provincia dove si svolge il commercio di schiavi; un editto vieta di ospitare i viaggiatori, di fatto agevolando anzichè impedendo questa pratica, tant'è che i quattro, che trovano rifugio sotto un ponte, in breve vengono raggiunti da un uomo che dice essere un marinaio in grado di aiutarli, ma che invece li vende separatamente ad altri due individui. I due ragazzi finiscono presso la dimora dell'intendente del titolo (pare fosse prassi comune in questo genere di leggede intitolarle con il nome del cattivo) e iniziano la loro vita di duro lavoro, fino a che la ragazza, saputa da un'altra schiava una maniera di fuggire, non la insegna al fratello. Lui si salva, rifugiandosi presso un tempio e facendosi monaco, lei si suicida. In seguito il ragazzo viene adottato da un governatore e, tornato alla vita laica, diventa governatore lui stesso, abolisce la schiavitù e infine ritrova la madre. C'è sempre presente una statua di Jizō dai poteri magici, infatti lo scopo di queste leggende era di consolidare la fede; Ōgai si premura anche di eliminare le truculenze presenti invece nelle versioni narrate oralmente. Ho detto all'inizio che questa è la versione definitiva perchè di lì in poi ci si è rifatti a questa nella successiva produzione di manga, anime e anche di un film con lo stesso titolo che ebbe un discreto successo anche in occidente. Essendo un'appassionata di Giappone, mi piace esplorare anche gli aspetti letterari classici, anche se poi ho bisogno delle spiegazioni degli esperti per apprezzarli in pieno, dato che non ho le basi culturali per farlo di mio.

giovedì 16 luglio 2020

Maddie, la mia prima Barbie articolata


E' passato del tempo e quindi non ricordo come ho scoperto dell'esistenza delle Barbie made-to-move, sta di fatto che ne ho voluto subito una e sono stata fortunata a trovarla a prezzo scontato. Ero curiosa di sapere quando è stato introdotto per la prima volta questo modello snodato, ma non sono riuscita a scoprirlo malgrado le ricerche in rete. So solo che la mia fa parte di una serie di Barbie dedite alla palestra perchè sono tutte vestite in modo sportivo.


In effetti c'era l'imbarazzo della scelta, tra brune, rosse, bionde, di colore e perfino asiatiche. Questa ha un viso da Barbie classica e mi piace molto, anche se le bionde mi hanno un po' stufato. Quanto al nome, Maddie è chiaramente ispirato a made-to-move. Eh, lo so, è un po' come quando mio marito chiama i gatti Nerone o Biancone in base al loro colore, ma che ci posso fare? Mica sempre ho delle felici ispirazioni!


Maddie è quella che ho avuto per le mani più spesso e quella per la quale ho cucito di più, anche se per diverso tempo è stata più che altro la cavia dei miei esperimenti. Per fortuna Maddie è molto paziente, e alla fine la sua (e la mia) pazienza hanno pagato, tanto che sono riuscita a farle un abitino estivo senza quasi nessun errore. 


Maddie è una brava ragazza e le voglio un gran bene, anche se a volte è un po' stronzetta. Il suo difetto principale è che sa di essere bella ed è convinta di poter conquistare ogni uomo con un solo battito di ciglia. Resta da vedere se il merito non sia piuttosto del fatto che non è certo timida e che quindi non esita a fare il primo passo quando le piace qualcuno. Al momento ha messo gli occhi su Oscar che però a me non sembra molto convinto.

martedì 14 luglio 2020

Far East Film Festival: i film che più mi hanno toccato e commosso

Ancora una volta mi trovo in grande difficoltà a mettere in ordine questi che secondo me sono stati i migliori film del Festival; mi sono tutti piaciuti moltissimo, mi hanno fatto tirare fuori il fazzoletto - sono quasi tutti drammatici - e non avrei avuto nulla da ridire se qualunque di essi avesse vinto il Festival. Diversi li considero a pari merito, quindi potete anche prenderli in ordine sparso XD


One night/Hitoyo è una storia famigliare di grande amore e dolore. Ci sono persone che meritano solo di morire perchè sparendo sarà migliore la vita di quelli che restano. Dev'essere stato questo il pensiero nella mente di Koharu quando, con premura tutta giapponese nell'attendere la dipartita dei suoceri così che nessuno debba soffrire, investe con l'auto il marito violento che picchia regolarmente i tre figli adolescenti. Koharu, prima di andarsi a costituire, dice ai ragazzi che l'ha fatto affinchè nessuno possa più picchiarli, perchè siano liberi di vivere come vogliono la loro vita, e infine promette di fare ritorno di lì a quindici anni. Ed eccola infatti tornare, puntuale e indomita. Il suo arrivo naturalmente riapre le vecchie ferite, perchè ciò a cui la donna non aveva pensato è che la condanna sociale per il suo gesto sarebbe ricaduta sulle spalle dei figli. Questi rimangono quasi basiti per il suo ritorno, non sanno bene come comportarsi, hanno capito il motivo di quell'omicidio però non riescono a passare sopra a tutto quello che ha significato per loro. C'è dunque un lavoro da fare, ferite da ricucire e comprensione da ricercare. Il punto è che a volte il bene che crediamo di aver fatto non si è rivelato tale, e forse ha ragione anche uno dei taxisti, l'ex-yakuza tossicodipendente redento, quando afferma che i genitori vengono sempre accusati dai figli di essere la causa dei loro problemi, qualunque cosa facciano. E' un film che ho trovato bello e complesso, con molte cose non espresse a parole, ma comprensibili dai gesti. Nel ruolo del figlio minore ho rivisto con immenso piacere Satou Takeru.



Ci sono film che sembrano promettere molto quando cominciano, ma che non trovo completamente risolti, altri invece partono piano piano e crescono di intensità fino a essere lavori pienamente compiuti: è il caso di Vertigo. Seo-Young è una giovane impiegata che ha una relazione segreta con uno dei suoi capi. La sua vita non appare delle più allegre; il suo contratto è a termine e non sa quando le verrà rinnovato, sua madre è una stronza e ultimamente le vengono degli attacchi di vertigine per il quale si fa inutilmente curare. Kwon-Woo  è un lavavetri che si trova a lavorare nel grattacielo dove ha sede la ditta di Seo-Young; la vede e se n'innamora, e diventa una sorta di angelo custode, osservandola da lontano. Intanto a causa di alcuni furti compiuti nell'edificio viene richiesta la visione dei filmati di sicurezza e il capo di Seo-Young è costretto a licenziarsi quando si scopre che ha fatto sesso in ufficio con un altro uomo. Seo-Young, preoccupata di essere stata a sua volta ripresa, tira un sospiro di sollievo quando il suo nome non viene fatto. Doppio sospiro quando il lavoro le viene confermato, se non che il suo diretto superiore, incontratala in ufficio di sabato mentre fa degli straordinari, cerca di abusare di lei sbattendole in faccia la relazione con l'altro superiore che egli ha visto dalle telecamere e ha taciuto per potersi approfittare di lei. Sarà Kwon-Woo a salvarla ancora una volta. Detta così, può sembrare la solita polpetta romantica, invece si tratta di una storia profonda, che ci racconta la solitudine e il dolore di due vite che infine si incontrano e si completano. 


Quando ho letto la trama di questo Romance Doll ho temuto che fosse una di quelle storie melense fatte solo per versare fiumi di lacrime, ma per fortuna non mi sono fatta scoraggiare e l'ho guardato, perchè mi è piaciuto molto. Tanada Yuki è l'autrice del libro, della sceneggiatura e anche della regia, mentre i protagonisti sono Takahashi Issey e Aoi Yu. Tetsuo, laureato all'Accademia di Belle Arti, è in cerca di lavoro e un amico lo spedisce in una ditta senza entrare in particolari; salta fuori che si fabbricano bambole di silicone a uso erotico. Tetsuo accetta il lavoro da principio solo per lo stipendio, ma poi finisce per appassionarsi. Nella costante ricerca di produzione di bambole il più realistiche possibile, il collega anziano di Tetsuo fa una proposta leggermente immorale: spacciarsi per fabbricanti di protesi mammarie per prendere il calco del seno di una modella. Appare così Sonoko, convinta di fare del bene all'umanità. Tetsuo se ne innamora a prima vista e i due, dopo un breve fidanzamento, si sposano. Tetsuo tuttavia è molto impegnato con il lavoro e finisce per trascurare Sonoko; quanto a lei, dopo alcuni anni si ammala di cancro e da principio nasconde la cosa, fino a che in una notte di confessioni reciproche i due non si rivelano tutti i loro segreti. La malattia però anziché allontanarli li avvicina e il loro matrimonio è finalmente perfetto. Sonoko, sapendo che Tetsuo sta cercando di fare una bambola senza giunture, lo convince a usare il suo corpo per lo stampo. Forse per lei è un modo per vivere per sempre, oltre che per aiutare il marito. Fatto sta che messa così non è stata la storia che temevo, del vedovo inconsolabile che cerca di riprodurre la moglie perduta. Infatti il film, benchè abbia dei momenti commoventi soprattutto nel finale, è piuttosto una commedia ed è molto bello, con buona pace dei benpensanti che certamente avrebbero qualcosa da dire sui giapponesi pervertiti e le loro bambole sessuali XD


Anche di cinema filippino non so nulla, a parte quel po' visto nelle scorse edizioni del FEFF; in quelle occasioni mi è capitato di vedere delle cose anche molto belle e Edward ricade sicuramente in questa categoria. Si tratta di un film che comincia  semplice e leggero, e che però a mano a mano diventa profondo e intenso. L'adolescente Edward è in ospedale a badare al padre malato; siamo a Manila, come in altri posti i pazienti necessitano dell'assistenza dei parenti per essere lavati, cambiati, eccetera. Il fratellastro di Edward se ne torna a casa lasciandolo con l'incarico di occuparsi del malato, ma lui è solo un ragazzino irresponsabile che preferisce scorazzare per l'ospedale con un suo coetaneo, facendo scommesse su chi sopravviverà e chi no, a volte aiutando le infermiere. E' proprio aiutando che Edward viene messo al capezzale di Agnes, una ragazzina ferita; i due simpatizzano, poi diventano amici, poi qualcosa di più. Questa relazione in qualche modo avvicina Edward al padre, il quale non è mai stato presente – l'ha allevato la madre quasi sempre da sola. Le condizioni dell'uomo però peggiorano e viene messo in isolamento – e qui ci sarebbe da fare un trattato sul concetto di isolamento, così come un trattato meriterebbe l'intero ospedale, che assomiglia più che altro a un girone dell'inferno dantesco. Intano Agnes viene dimessa all'insaputa di Edward che ci rimane di merda, ma non passa molto prima che un'infermiera lo avverta che si trova di nuovo al pronto soccorso. Edward accorre, ma la trova morta – di botte, a giudicare dall'aspetto. Qualcosa di strano accade all'obitorio, non ci viene detto chiaramente, ma forse l'addetto è in combutta con un necrofilo, sta di fatto che Edward fa di tutto per strappare il corpo di Agnes dalle sue sgrinfie e andarla a seppellire. Insomma, il personaggio cresce e diventa un adulto compassionevole, ben diverso dal ragazzino dell'inizio, che avrei solo voluto gonfiare di scapaccioni. Un film che emoziona, pieno di umanità e di dolore, forse non tanto di speranza, se non di quella di trovare qualcuno che ci ami abbastanza da prendersi cura di noi fino alla fine.


Kim Ji-Young, Born 1982 è tratto dal libro omonimo e diretto da Kim Do-Young, che prima di dedicarsi a questa sua prima regia è stata un'attrice. Il libro è stato campione di vendite in Corea e l'autrice Cho Nam-joo l'ha scritto in soli due mesi perchè ha detto che si è ispirata a ciò che ha vissuto sulla propria pelle. E che cos'è che vive sulla propria pelle la protagonista, magistralmente interpretata da Jung Yu-Mi? Mille piccoli accenni, mille piccoli soprusi, mille piccole umiliazioni, tutti frutto del sessismo della società coreana (che non è la sola ad avere questo difetto, ahimè). La donna deve essere moglie e madre, dunque restare a casa a occuparsi dei figli; chi persegue la carriera nel lavoro malgrado la maternità è guardata male, come una cattiva madre. Nel film vengono mostrati tutti gli aspetti che la discriminazione di genere ha: i salari più bassi, le promozioni che arrivano più tardi rispetto ai colleghi maschi e che non vanno oltre un certo grado, le molestie sessuali più o meno esplicite sul lavoro, eccetera. E tra le stesse donne ci sono quelle di mente aperta come la madre di Ji-Young (la mia amata Kim Mi-Kyung) e quelle che invece sostengono il pensiero comune, come sua suocera e una delle sue zie. Tuttavia Ji-Young ha anche un altro problema perchè comincia a sviluppare una personalità multipla. Se ne accorge il devoto marito (interpretato da Gong Yoo) che per fortuna è un uomo disposto a sacrificarsi per il bene della moglie. Queste personalità che si manifestano non sono altro che voci di amiche e parenti che ribadiscono tutti i problemi di cui sopra. Alla fine andrà tutto bene per Ji-Young che, con il sostegno del marito, riuscirà a conciliare maternità e lavoro. Questo è uno di quei film necessari perchè mostra molto egregiamente il problema della disparità di genere e ci riesce in maniera naturale, senza risultare minimamente didascalico. 


Beasts Clawing at Straws è l'altra commedia in questa serie di tragedie XD Si tratta infatti di una bellissima black comedy tratta da un romanzo giapponese ed opera prima di un regista che ne ha curato anche la sceneggiatura. Tutto gira intorno a una borsa piena di soldi; il film comincia mettendo in campo vari personaggi che apparentemente non hanno nulla in comune e non spiega l'ordine cronologico delle scene, anche se ben presto si capisce che quella iniziale avviene un bel po' avanti rispetto a quelle che seguono. Si scopre anche che in qualche modo tutti i vari personaggi sono connessi tra di loro. Abbiamo una giovane donna con un marito manesco, che lavora come hostess per guadagnare i soldi di un grosso debito che deve restituire. Sul lavoro incontra un giovane cinese, immigrato clandestino, che s'innamora di lei e che lei convince ad uccidere il marito, solo che il tipo investe la persona sbagliata, dopodichè gli vengono i sensi di colpa e vuole andare alla polizia e la donna lo ammazza a sua volta per impedirgli di parlare e coinvolgerla. A quel punto si confida con la padrona del club dove lavora, la quale le insegna come liberarsi del marito facendolo sembrare un incidente e intascando il premio del'assicurazione. Tutto fila liscio e la donna è pronta per scappare all'estero con la sua borsa piena di soldi, ma le cose non vanno come sperava... Davvero molto divertente questa storia in cui tutti sono pronti ad ammazzare tutti – e spesso lo fanno – e dove anche il caso ha il suo peso. Il finale chiude il cerchio e risulta perfetto.



Questo Victim(s)/Perpetrator, Victim è il film malese arrivato secondo nella classifica di gradimento del pubblico. Ispirato a una storia vera, il film è la cruda ricostruzione di alcuni atti di bullismo tra ragazzi di una scuola superiore. Inizia con l'omidicio di un ragazzo e il ferimento di altri due ad opera di un loro compagno. Ovviamente tutti gridano al mostro, tanto più che il colpevole è ricco mentre le altre tre famiglie non lo sono, e quindi il sentimento popolare è tutto contro di lui perchè si pensa che la sua ricchezza influenzerà il verdetto. Intanto però parte un lungo flashback che ci fa vedere che in realtà l'assissino era vittima di bullismo da parte dei tre aggrediti. La madre del ragazzo morto poi trova nel computer del figlio un paio di video in cui lui e gli amici bulleggiano il colpevole; per lei è estremamente difficile accettare la verità sul figlio che amava profondamente, e quindi tiene nascosta la cosa, ma quando il ragazzino in carcere tenta il suicidio, si decide a passare il video a sua madre che lo diffonde. Molto bello questo film, ma anche molto amaro. Fa indignare e fa riflettere, ma soprattutto fa chiedere perchè.



Suk Suk /zio zio (laddove presumo che zio in cinese stia all'ojisan giapponese, per indicare un uomo in età matura) è un film tenero e struggente che tocca due tematiche fondamentali: quello dell'amore senile – sesso compreso – e quello della discriminazione degli omosessuali. Non fa melodramma, è una pellicola perfettamente equilibrata, ma mostra molto bene una situazione dolorosa. I due protagonisti sono entrambi piuttosto in là con gli anni, hanno figli e nipoti, però hanno vissuto tutta la loro vita nella menzogna in quanto sono entrambi omosessuali. Pak ha cominciato a cercare incontri con gli uomini una volta che i figli, diventati adulti, sono andati via di casa; Hoi invece ha divorziato presto e ha allevato da solo il figlio, ma l'assenza di una donna al suo fianco gli ha permesso di vivere in maniera relativamente più libera ed è introdotto nella comunità lgbt di Hong Kong. I due s'incontrano, Pak appare più interessato a una relazione sessuale superficiale, Hoi invece da subito si mostra più coinvolto. A mano a mano che si frequentano, si capisce che anche per Pak la relazione è profonda; Hoi si ritrova nei panni dell'amante con tutte le conseguenze del caso. Non c'è nessuna rivelazione catartica finale; il figlio di Hoi lo sente ascoltare un dibattito nel quale prendono la parola due suoi amici gay, la moglie di Pak sembra sospettare qualcosa, ma tutto prosegue come se nulla fosse, nel silenzio generale. Alla fine forse la relazione s'interrompe, ma non è quello il punto. Pak e Hoi non sono che un pretesto alla fin fine; vogliono mostrarci il peso di una vita vissuta nascondendo la propria vera natura, così come vogliono mostrarci che non c'è un'età per l'amore. Il tutto, come dicevo, portato avanti in uno stile misurato ed elegante; mi ha veramente commosso in alcuni punti.



Il cinese Better Days/Young you, ultimo film in programma e vincitore sia nella categoria del pubblico sfigato come me sia in quella dei puzzoni che potevano permettersi di pagare cento euro per l'accredito (scherzo, naturalmente... se passa di qua uno di quei puzzoni lo prego di non offendersi!) mi ha tenuto sulla corda fino all'ultimo minuto perchè è uno di quei casi in cui il finale avrebbe potuto rovinare tutto; così non è stato per fortuna. E' tratto da un libro e, come Victim(s), tratta il tema del bullismo. Chen Nian si sta preparando per l'esame di ammissione all'università; è un momento delicato non solo per lei, in quanto in questo esame sono riversate le aspettative di più di nove milioni di studenti. La ragazza vede nell'esame, e nella successiva iscrizione alla prestigiosa università di Pechino – se riuscirà a passare – non solo come al modo per riscattarsi da una vita di povertà alla quale l'ha costretta la madre, che sopravvive di sotterfugi, ma anche come il trampolino di lancio per un futuro nel quale fare la differenza nel mondo, per cambiarlo in meglio. Una compagna di classe della ragazza, vittima di bullismo, si suicida; mentre tutta la scuola è impegnata a fotografare il cadavere, solo Chen Nian ha l'umanità di avvicinarsi e coprirla con la sua giacca, ma questo gesto attira l'attenzione della polizia che l'interroga e soprattutto di quelle che tormentavano la morta, che ne fanno il loro nuovo bersaglio. Chen Nian s'imbatte in un pestaggio mentre torna a casa; è così che conosce il teppista Liu Beishan. E' lui che diventerà l'angelo custode della ragazza che non ha altri a cui rivolgersi – un giovane poliziotto si offre di aiutarla, ma lei si rende conto che non può proteggerla veramente. Come in Victim(s) però l'escalation di violenza a cui Chen Nian è sottoposta la porterà a un gesto estremo, benchè non premeditato come nell'altro film. In questa pellicola è molto forte anche l'elemento sentimentale; il rapporto che lega  Chen Nian e Liu Beishan è insieme tenerissimo e fortissimo, e ci viene mostrato con grande delicatezza, senza indulgere in melodrammi superflui. Del resto l'essenzialità della narrazione è il punto di forza di questo bellissimo film che mi ha molto emozionato e che, come dicevo, per fortuna ha avuto il finale che si meritava.

domenica 12 luglio 2020

Far East Film Festival: film belli e molto belli

Devo dire che ho faticato parecchio a mettere in ordine i nove film di questa categoria, alcuni infatti sarebbero a pari merito.


Il titolo di questo film di Hong Kong, My Prince Edward, deriva da un gioco di parole tra il fatto che la protagonista lavora nel centro commerciale Prince Edward e che Edward è anche il nome del suo fidanzato di lunga data, tanto lunga data infatti che ormai è ora che si sposino. C'è solo un problemino: Fong è divorziata, e siccome la cosa verrà scritta nel certificato di matrimonio, teme la reazione di Edward e della futura suocera che ne sono all'oscuro. La cosa però si rivela ancora più grave: Fong scopre che il primo matrimonio non è mai stato annullato. Si trattava di un matrimonio di convenienza fatto per soldi, il marito era un cinese che voleva il passaporto di Hong Kong; Fong non l'ha mai più rivisto e spera di annullare il matrimonio unilaterlmente, ma ci vogliono due anni, e intanto l'uomo riappare chiedendole di restare sposati ancora due mesi in modo che si completi il periodo di dieci anni e lui possa avere il passaporto. Questo stallo dà a Fong modo di riflettere che in fondo non ha nessuna voglia di sposare Edward che è troppo possessivo, nè ha voglia di essere comandata a bacchetta dalla futura suocera molto invadente. Insomma, è  la storia di una presa di coscienza e del mettere finalmente al primo posto i propri desideri anzichè sottostare alle aspettative della società.


I-documentary Of the Journalist è firmato da Mori Tatsuya che è considerato uno dei migliori documentaristi giapponesi viventi. In questo suo ultimo lavoro segue Mochizuki Ibuko, una giornalista del Tokyo Shinbun, nota per essere una che non ha peli sulla lingua e che non si trattiene dall'affrontare questioni spinose con personaggi potenti. Nel film la vediamo infatti impegnata con alcuni argomenti che hanno scosso l'opinione pubblica e messo in cattiva luce il governo Abe: il referendum contro la costruzione di una base militare a Henoko, Okinawa; il caso dei coniugi Kagoike che comprarono a prezzo stracciato - tramite la mediazione della moglie di Abe – un terreno per costruire una scuola dove i bambini venivano indottrinati contro cinesi e coreani; lo stupro della giornalista Itou Shiori ad opera di uno stretto collaboratore di Abe, eccetera. Mochizuki è una di quelle persone che non si lasciano intimidire; alcune delle scene più esasperanti del film sono quelle in cui fa domande al portavoce del governo, venendo continuamente interrotta e ricevendo risposte brusche e laconiche. E' molto bello il ritratto che esce di questa donna coraggiosa, ma sono stata contenta anche del fatto che venga mostrato come i giapponesi non sono affatto quel popolo passivo e sempre pronto a chinare il capo davanti alle autorità che ci viene dipinto, infatti nel film ci sono diverse scene di proteste pubbliche e manifestazioni.


Se questo film si trova qui è solo per colpa del finale; tra l'altro la sera della proiezione c'è stato un problema tecnico e mancavano proprio gli ultimi dieci minuti. Per tirare le somme ho aspettato pazientemente per più di un'ora che sistemassero le cose e purtroppo sono rimasta molto delusa dalla conclusione di questo film che fino a quel momento consideravo uno dei migliori visti - di fatto è arrivato terzo nella votazione popolare. I WeirDo/Freak, girato in quel di Taiwan con uno smartphone, si focalizza su un ragazzo e una ragazza, entrambi affetti da disturbo ossessivo-complessivo, che essendo germofobici escono sempre bardati con impermeabile, guanti e mascherina, e che passano la maggior parte del tempo disinfettando casa. Si conoscono, s'innamorano, vanno a convivere e tutto procede bene fino a quando una bella mattina lui non si sveglia guarito. Il graduale ritorno alla vita normale segnerà l'allontanamento dalla ragazza. E a questo punto, colpo di scena: è lei che guarisce e riflette, con dei flashback al contrario – nel senso che le scene sono le stesse ma sono invertite le parti – su come il suo cambiamento porterebbe alla rottura nel rapporto. Il finale didascalico e deludente avviene proprio a questo punto; se la prima parte del film è veramente ben fatta e gradevole, originale e tenera, la spiegazione della morale del film mi ha fatto cadere i maroni. Peccato peccato peccato.


Davvero molto divertente Dance with me, l'ultimo film di Yaguchi Shinobu, che è un musical o quasi. La storia ha inizio quando un'impiegata di una ditta prestigiosa viene ipnotizzata per sbaglio e comincia a cantare e a ballare ogni volta che sente una qualunque musica. La situazione è ovviamente insostenibile per la poveretta che, dopo un'inutile visita presso un medico, si decide ad assumere un investigatore privato per rintracciare l'anziano ipnotizzatore che nel frattempo se l'è data a gambe perchè rincorso dagli strozzini. Comincia così un inseguimento da Tokyo a Niigata per finire a Sapporo, tra ex-fidanzate psicopatiche, scontri tra gang a colpi di hip-hop e seduzioni a scopo di furto, il tutto tra un balletto e l'altro. Ce ne vorrebbero di più di film così, che regalano grandi risate senza fare ricorso a trivialità.


Chan-Sil ha quarant'anni ed ha dedicato tutta la sua vita al cinema; ha sempre lavorato come produttrice per lo stesso regista, ma quando l'uomo muore improvvisamente, lei si ritrova disoccupata. Questo è un punto di svolta nella sua vita; in ristrettezze economiche, va a vivere in affitto da una vecchietta e si mette a fare la donna delle pulizie per un'attrice del suo vecchio team. Chan-Sil è sopraffatta dal dolore per aver perso tutto; la sua convinzione era che avrebbe fatto cinema per sempre. Ora si trova a non sapere come affrontare il futuro; rimpiange di non essersi preoccupata di sposarsi e mettere su famiglia, e si sente attratta da un uomo più giovane di lei, un regista altrettanto disoccupato che si guadagna da vivere facendo l'insegnante. Lui però la vede solo come un'amica e da un certo punto di vista è una fortuna perchè in fondo trovarsi un uomo e sistemarsi non è ciò che lei vuole veramente. Alla fine sul suo viso tornerà il sorriso e nel suo cuore la gioia di vivere. Lucky Chan-sil/There are many hallways è un ritratto davvero molto bello di una donna che esce dagli schemi, girato in maniera coerente fino alla fine; un gran bel lavoro che ha di certo meritato i premi vinti al Busan International Film Festival.


Nella piccola città di Changfeng tutti si conoscono e sembra che non succeda mai niente, come se il tempo fosse sospeso e il mondo di fuori facesse la sua apparizione solo grazie ai film proiettati nel cinema cittadino. Una banda di monelli fa da filo conduttore alla narrazione dei piccoli eventi: l'invasione dei topi, la clinica dentale, la relazione tra la madre di uno dei ragazzini e il dentista, l'amore non corrisposto dello stesso ragazzino per la figlia del proprietario del cinema e la cotta di quest'ultima per un aspirante poeta. Tutto cambia e nulla cambia a Changfeng; alla fine il ragazzino che è voce narrante viene spedito in città perchè è troppo indisciplinato. Nel suo partire si porta dietro la nostalgia per quel posto e la certezza di ritrovarlo tale e quale al suo ritorno, malgrado tutti dicano che sta cambiando. Difatti questo Changfeng Town è un film sulla nostalgia, che fa apparire quasi magica l'atsmofera del paesino cinese immaginario in cui è ambientato.


Colorless/See you in Sarugakuchou segna il debutto del regista Koyama Takashi che dirige Ishikawa Ruka e Kaneko Daichi in una storia che parte leggera come una commedia e si conclude con profonda amarezza. Oyamada è un giovane fotografo freelance che per lavoro conosce l'aspirante attrice Yuka. Il ragazzo s'innamora di lei e, forse proprio grazie a questo, le scatta delle bellissime foto che fanno decollare la sua carriera. Benchè da principio Yuka non sembri accettare le sue avances, i due finiscono per mettersi insieme. Oyamada però non sa che Yuka gli tiene nascoste molte cose. Intanto per pagare il corso di recitazione lavora in uno di quei centri per massaggi che sono in realtà una copertura per forme più o meno complete di prostituzione, e uno dei suoi clienti è uno dei capi di Oyamada (e anche quello che gli ha proposto il compito di ritrarre Yuka la prima volta); poi Yuka ha un ragazzo col quale convive, ma che la lascia, per cui va stare con Oyamada perchè non ha un altro posto dove abitare, e intanto scrive all'ex dicendogli che lo ama ancora. Oyamada comincia a sospettare qualcosa, però non vuole credere che Yuka gli menta perchè la ama veramente. Yuka intanto si sbatte di qua e di là senza riuscire a trovare un ingaggio, e intanto invidia una compagna di corso che invece ce l'ha fatta. Se il personaggio di Oyamada fa tenerezza perchè si tratta di un ragazzo onesto e sincero, a Yuka viene da dare degli scapaccioni. O forse no, perchè è logico chiedersi se è davvero una stronzetta o se piuttosto non fa ciò che fa perchè vuole realizzare il suo sogno prima e semplicemente sopravvivere poi. Quello che è certo è che si tratta di un carattere per il quale è difficile provare simpatia. Di questo film mi è piaciuta molto la maniera in cui è stata costruita la storia, mostrando prima le cose con gli occhi di Oyamada e quindi con quelli di Yuka.


A Beloved Wife/Kigeki Aisai Monogatari è diretto da Adachi Shin che è anche autore del libro dal quale ha poi tratto la sceneggiatura. Si tratta di uno spaccato famigliare tragicomico - più comico che tragico, in realtà.  Gota (interpretato da Hanada Gaku) è uno sceneggiatore disoccupato sposato da dieci anni con Chika (Mizukawa Asami); i due hanno anche una figlia, Aki. Gota, come puntualizza all'inizio del film, ama fare sesso, ma sono già due mesi che la moglie non gliela dà e si sente molto frustrato. Chika, dal canto suo, è quella che deve mantenere la famiglia col proprio lavoro ed è molto frustrata a sua volte a causa dell'inettitudine del marito. Gota riceve una chiamata dal suo editore che gli dice di preparare una sceneggiatura su una ragazza che prepara gli udon alla velocità della luce; gli dice anche che un suo soggetto è stato approvato e presto diventerà un film. Gota insiste per recarsi a incontrare la ragazza degli udon e necessariamente deve essere accompagnato da Chika, sia perchè lui non ha un soldo per il viaggio, sia perchè non ha la patente. Salta però fuori che la storia sulla ragazza la sta già scrivendo un altro e pure il film viene cancellato. Il viaggio sarà così nuovamente terreno di scontro per la coppia, anche se alla fine, nonostante tutto, resteranno insieme. Una bella storia che mostra gli alti e bassi di una lunga convivenza, la difficoltà di portare avanti un lavoro creativo che non rende da un lato, la concretezza di gestire la vita quotidiana dall'altro. Alla fin fine però Gota e Chika si amano ed è questo quello che conta.  



In tempi di social networks passare dalle stelle alle stalle è questione di un attimo. Lo impara a sue spese l'adolescente Masao. Una sera, in preda alla nostalgia del passato, carica su Instagram una foto di tre anni prima nella quale stava giocando a pallamano; sullo sfondo si vedevano le case provvisorie nelle quali abitava – e abita ancora – in seguito al terremoto di Kumamoto. Probabilmente a causa di quello sfondo la foto riceve molti like. Masao allora, con l'aiuto di un amico, comincia a postare altre foto in cui fa finta di giocare a pallamano sullo sfondo di altri posti riconoscibili di Kumamoto e inventa un hastag dedicato - #Handballstrive - ottenendo un sacco di successo. Questo successo galvanizza un loro senpai che effettivamente giocava, ma la squadra maschile della scuola non esiste più. Mentre il senpai comincia a reclutare gente per ricreare la squadra, anche Masao passa dalla finzione alla realtà e decide di impegnarsi seriamente. Purtroppo qualcuno riesce a hackerare il suo telefono trovando un video dove si capisce che le prime foto erano una montatura, e dopo la sua pubblicazione comincia la shitstorm, le donazioni vengono revocate, anche la TV che si era interessata alla squadra sparisce. Dopo tutta questa merda però Masao si riprende, la squadra si riforma e la vita torna a sorridere. Un bel film sulla crescita e la maturazione non solo di Masao, ma anche dei suoi amici, i quali certamente avranno imparato ad apprezzare la realtà delle cose molto più della falsa celebrità di Instagram. Interessante l'ambientazione nella Kumamoto post terremoto.

venerdì 10 luglio 2020

Far East Film Festival: film carini e divertenti

Ok, mi scuso per il titolo cretino... In realtà procedo con la mia personale classifica di quanto visto, classifica che, lo ricordo, sta procedendo in senso inverso, quindi quelli che seguono sono film che mi sono piaciuti e che mi hanno divertito, ma che non considero memorabili e che quindi non sento il bisogno di rivedere in futuro.


Ero curiosa di vedere questo film, tratto da un fumetto molto popolare in Indonesia, che mette in scena le avventure di un supereroe che si chiama appunto Gundala. Sancaka, rimasto orfano da bambino, sopravvive per strada fino a diventare adulto; da sempre ha paura dei fulmini e una volta è perfino stato colpito da uno di essi. Fa il sorvegliante in una ditta e cerca di badare ai fatti suoi in un contesto di continui abusi e violenze contro i più deboli. Tuttavia da più parti gli viene ricordato il messaggio di suo padre: se ignori le ingiustizie quando le vedi, rinunci alla tua umanità. Prima per caso e poi volontariamente, Sancaka diventa il paladino di alcuni  ambulanti e quindi scopre il suo potere, ovvero che se si lascia colpire dal fulmine diventa fortissimo e praticamente invincibile. In questa nuova veste si troverà a combattere contro un uomo potente che ha organizzato un complotto per creare un futuro pieno di violenza. Il film si conclude con la resurrezione dell'antico antagonista di Gundala, il nome dell'essere che evidentemente Sancaka incarna senza saperlo, lasciando il campo aperto a un sequel. Perchè questo film non mi ha detto più di tanto? Credo sia dipeso dal fatto che non sono riuscita a empatizzare col protagonista, e comunque i film con i supereroi non mi sono mai piaciuti particolarmente.


Wotakoi: love is hard for otaku è tratto dal manga omonimo, manga che ha avuto molto successo e del quale esiste anche una versione anime. Non so niente di questi ultimi due, però posso dire per esperienza che spesso le versioni live-action dei manga sono peggiori degli anime. Questo film parte bene, in effetti nella prima metà mi sono fatta un sacco di risate, però poi s'incarta e il finale scontato non aiuta. E' costellato di diversi numeri musicali, anche se non lo definirei proprio un musical, e scuramente per apprezzarlo in pieno bisogna essere un po' otaku. La storia è quella di due otaku, appunto, amici d'infanzia, che si rivedono quando lei comincia a lavorare nella ditta dove lavora già lui. Entrambi cercano di nascondere ai capi e ai colleghi di essere otaku, ma alla fine la morale è che è giusto che uno sia quello che è - e che la vita da otaku è molto più divertente, come afferma ad un certo punto uno dei due (io sono d'accordo).


Pare che Johnny To, il regista di questo Chasing Dream/My Boxing Boyfriend, sia un mostro sacro del cinema di Hong Kong; di questa cinematografia io conosco solo i film visti a Udine in passato, quindi mi baso, come al solito, sulle mie impressioni da casalinga. Questo film è una storia di riscatto e anche una storia d'amore, di quelle in cui i due protagonisti sono disposti a sacrificare tutto l'uno per l'altra; i protagonisti sono simpatici e la trama risulta coinvolgente. Come non fare il tifo per questi due? Lui, benchè boxeur di talento, si è dato alla MMA; lei è stata turlupinata dall'ex che si è appropriato delle sue canzoni e, spacciandole per proprie, è diventato un divo. Anche qui ci sono diverse parti musicali e di certo non si corre il rischio di annoiarsi; ho solo trovato il tutto un po' prevedibile.


Exit è un film di adrenalina pura, con in più una nota di commedia che gli dà maggiore valore. Lo sfigato protagonista, mentre partecipa con il resto della famiglia alla festa per il settantesimo compleanno della madre, si ritrova eroe per caso quando un uomo fa esplodere una cisterna di gas tossico. Insieme alla ragazza di cui è innamorato e che lavora nel ristorante, salverà prima la sua famiglia, poi dovrà preoccuparsi di salvare la propria pelle. Il tutto avviene per merito del fatto che sia lui che la ragazza sono free climbers. Per quanto abbia trovato divertente questa pellicola, ho un problema con i film spallati: d'accordo, il cinema è sogno, è il regno dell'impossibile, però qui non siamo in un fantasy ma in un contesto quotidiano, e quindi quando si esagera con le imprese sovrumane tendo un po' a scocciarmi.


Resto in argomento di film spallati con questo Ashfall/Baekdu Mountain, che mette in scena un vicenda veramente incredibile. L'eruzione del vulcano Baekdu causa un terremoto devastante, ma il peggio deve ancora venire; come spiega lo scienziato Kang Bong-Rae (interpretato da Ma Dong-Seok che ormai da qualche tempo è diventato un attore mainstream), ci sono altre tre sacche di magma. Ciascuna provocherà un grave terremoto, ma la terza è così grande che metà Corea verrà distrutta. Per cercare di contenere i danni al minimo, l'unica cosa è entrare in una miniera che si avvicina il più possibile al nucleo del vulcano e fare esplodere una bomba nucleare, l'unica in grado di essere abbastanza potente. Peccato che qualche chilometro più in là ci sia la Corea del Nord e che anche gli americani non siano d'accordo. I nostri eroi si lanciano comunque in questa mission impossible per salvare la nazione - e i proprio cari. Anche qui non si rischia certo di annoiarsi, in più ho apprezzato la coppia degli eroi, interpretati dall'ottimo Ha Jung-Woo e dal solito Lee Byung-Hun (che se non lo mettono in tutti i film di una certa importanza non stanno bene XD).



Il cinese An insignificant affair è una storia molto carina di un amore adolescente. He Xiaoshi e Xiaoyu sono compagni di classe; lei è diligente e studiosa, lui non ha molta voglia di studiare e spesso si affida a lei che gli dà le dritte sulle cose più importanti da memorizzare. Un giorno, mentre He Xiaoshi tenta di leggere la mano a Xiaoyu, la preside li sorprende e salta alla conclusione che sono fidanzati, cosa proibitissima a scuola dove si deve pensare solo a studiare. I ragazzini tentano di spiegarsi però non vengono creduti, e He Xiaoshi deve scrivere per punizione un'autocritica da leggere davanti alla classe. Mentre i due cercano di mettere insieme questa lettera che non soddisfa mai gli insegnanti rischiando di ingigantire la cosa più del dovuto, scoprono di essere davvero innamorati. 



The house of us/My house è il film che ha aperto il festival ed è stato anche questo molto carino.  I genitori di Hana non fanno che litigare; lei soffre molto per la situazione e crede che se riuscisse a organizzare una gita di famiglia, la pace potrebbe tornare. Madre e padre però si dicono troppo impegnati con il lavoro, e intanto continuano a urlarsi addosso. Hana conosce due sorelle, più piccole di lei, i cui genitori sono lontani per lavoro; in teoria dovrebbe occuparso di loro lo zio, in pratica le bambine sono abbandonate a se stesse. Hana comincia a frequentarle e a preparare loro da mangiare, e insieme cercano di trovare una soluzione ai propri problemi, per ricostruire la casa che sentono perduta. E' una storia in fondo semplice, che però mostra bene le sofferenze dei bambini nei confronti di adulti che pensano solo a se stessi, e che magari non sono veramente cattivi, sono soltanto presi dalle proprie cose o dalla sopravvivenza quotidiana per rendersi conto dei bisogni dei loro figli. Il finale non offre una reale soluzione e appare piuttosto come una tregua, eppure la regista sembra voler suggerire che rimane un barlume di speranza che le cose possano cambiare in meglio.



Questo film era partito molto bene, però non mi ha convinto la maniera in cui si è sviluppata la trama e per questo è stato relegato nel girone dei film carini e divertenti, senza riuscire a passare al successivo. La protagonista di My Sweet Grappa Remedies/Amai osake de ugai è una quarantenne sola, con una vita noiosa, ripetitiva e piena di rimpianti. Una sua collega molto più giovane è la sola persona con la quale ha dei rapporti amichevoli, a parte gli omarini che talvolta la rimorchiano quando va al bar a bere da sola. Questa cosa del bere è come una coccola che fa a se stessa, non è che la donna sia alcolizzata. Comunque sia, ad un certo punto conosce un amico della collega, cominciano a uscire tutti e tre insieme e lei s'innamora, malgrado il ragazzo abbia più di vent'anni meno di lei. E niente, finisce che si mettono insieme anche grazie alla collega. Per cui boh. Francamente questa svolta non me l'aspettavo e mi ha lasciata un po' interdetta. Buon per la protagonista che abbia trovato l'amore, ma mi è piaciuta di più la prima parte, quando era sfigata e basta.



Minori, on the brink/Ojosan ricorda, come qualcuno ha giustamente notato nella chat di Mymovies, lo stile di Eric Rohmer, e quindi non poteva non piacermi se non per questo solo motivo. La Minori del titolo è una bella ragazza, scocciata proprio per questo motivo, infatti gli uomini non fanno che abbordarla e reagiscono male quando lei dimostra di essere loro pari. Perchè credo che il messaggio di questo film sia esattamente questo: basta con il sessismo della società giapponese (e non solo). Una scena emblematica è quella in cui Minori viene avvicinata da un tizio con il quale qualche tempo prima ha fatto sesso; lui comincia dicendo che le piace e chiedendole di mettersi insieme, lei dice di noi e all'insistente richiesta di sapere il motivo - come se fosse obbligatorio per la donna accettare di uscire con lui - Minori prima dice che lui non le piace e quindi che sì, ci è andata a letto per fare sesso, punto. E lui sbotta che è una troia e una puttana e se ne va continuando a insultarla. Come non simpatizzare con lei?

mercoledì 8 luglio 2020

una scorpacciata di film asiatici (e una prima lista di quelli visti)


Quest'anno il Far East Film Festival di Udine, dapprima posticipato, ha finito per svolgersi interamente online. Grazie all'accredito è stato possibile vedere in streaming tutti i film in concorso. Per me è stata una cosa estremamente positiva perchè quando vado al festival rimango solo tre giorni, durante i quali vedo quello che passa il convento, ma a questo giro ho potuto guardare tutto quello che mi pareva. Il lato negativo è stato invece che praticamente sono vissuta blindata in casa per dieci giorni guardando quattro film al giorno (una volta cinque). Alla fine sono stata quasi contenta che fosse finito per poter tornare a fare altro XD Tranquilli, tra un film e l'altro ho trovato il tempo di sfamare il marito e anche la gatta ^___^
Nei prossimi giorni farò un resoconto di quello che ho visto. Siccome la roba è tanta, cercherò di parlare solo brevemente di ogni film. Comincerò in ordine di gradimento inverso, ovvero da quelli che mi sono piaciuti di meno - vorrei precisare però che di cose che mi hanno fatto schifo non ce ne sono state, solamente alcuni film mi hanno emozionato e toccato più di altri, oppure vi ho trovato un maggiore valore in termini di contenuto. Del resto io non sono certo un critico cinematografico e i miei criteri di valutazione sono certamente diversi da chi fa il critico di mestiere.
Comincio dunque con due registi giapponesi per me problematici XD


Il film di Obayashi Nobuhiko mi ha fatto venire un cerchio alla testa! Obayashi è considerato un mostro sacro, quindi se mai di qui dovesse passare un critico cinematografico vero probabilmente mi prenderei degli insulti, ma questo suo ultimo lavoro - ultimo davvero, visto che purtroppo il regista è morto di recente - per me è stata una cosa inguardabile. Labyrinth of cinema/Umibe no eigakan kinema no tamatebako è una sorta di ricostruzione della storia del Giappone attraverso i film che avviene sullo schermo di un piccolo cinema che sta per chiudere; alcuni personaggi del pubblico vengono risucchiati dentro lo schermo e assistono dal vivo agli avvenimenti. Detta così suonerebbe bene, difatti se la cosa fosse stata costruita in maniera più convenzionale di certo mi sarebbe piaciuta, ma il montaggio troppo concitato e l'estrema stravaganza dell'operazione ha fatto sì che abbia mollato la visione dopo mezz'ora perchè mi stava veramente scoppiando la testa. Poi ho scoperto che questo film durava tre ore e mi sono detta che ho fatto molto, molto bene (in realtà odio mollare a metà le cose, che si tratti di film, libri o serie TV, questo è stato un caso più unico che raro).



Watanabe Hirobumi è un giovane regista indipendente al quale il FEFF aveva riservato ben quattro proiezioni (che se non corrispondono alla sua opera omnia, poco ci manca). Watanabe lavora in maniera artigianale, con la collaborazione dei fratelli e di amici e conoscenti, e devo ammettere che i suoi due film che ho visto hanno dei tocchi di genialità. Lo ammetto con il cervello, perchè il suo stile, ahimè, non fa per me. Mi rendo conto che questo è un mio limite, prediligo film strutturati in maniera convenzionale e dinamici, quindi il suo stile documentaristico puro, al limite del reality, a me risulta abbastanza noioso. Difatti dopo i primi due film ho deciso di non vedere gli altri. Il primo, I am really good/Watashi wa genki, ci mostra la giornata tipo di Riko, una bambina delle elementari; si alza, va a scuola insieme al fratello maggiore e all'amichetta Nana, torna a casa, fa i compiti, eccetera. Sì, la poesia della semplicità e della purezza dell'infanzia, eccetera, però che sbadigli! Le mie scene preferite sono state quelle con il venditore porta a porta di libri per bambini che cerca di vendere i libri prima a Riko e poi alla sua amica Nana, chiedendo che usino la loro paghetta perchè sono sole a casa, ma quando sente che il padre di Riko è un poliziotto se la dà a gambe facendole giurare di non dire a nessuno che è passato, e la stessa cosa accade quando va da Nana e dopo poco spunta Riko che è in visita dall'amica. Il secondo film, Cry/Sakebigoe, mostra invece la settimana tipo di un allevatore di maiali;  si alza, fa colazione, si reca alla fattoria, accudisce i maiali, fa una pausa pranzo, torna a casa, cena, legge, scrive, dorme. E così via, con l'unica differenza della domenica quando, in una botta di autocitazione del regista, va al cinema a vedere Watashi wa genki, è l'unico spettatore – dimostrazione che Watanabe è dotato di auto-ironia – e si addormenta – che è quello che stavo per fare anch'io. Quelli che ci capiscono dicono che questo film è una metafora della ripetitività e inutilità della vita, laddove l'uomo è come un automa che ripete sempre gli stessi gesti. Punto a favore di entrambi i film: erano brevi.




Questo film cinese è tratto da una storia vera. The Captain/The Chinese Captain ricostruisce l'incidente avvenuto nel 2018 al volo 8633 della Sichuan Airlines diretto a Lhasa. Mentre sorvolava l'Himalaya, il vetro della cabina di pilotaggio dell'aereo s'infranse depressurizzando l'ambiente. Il capitano, con enorme sangue freddo, riuscì a invertire la rotta e atterrare a Chengdu. Si può ben dire che si trattò di un miracolo, ma ebbero grande peso anche l'esperienza e l'abilità del pilota. Le scene migliori naturalmente sono quelle a bordo dell'aereo; belle anche quelle del personale di terra in ansia e dei soccorsi prontamente apportati. Sul finale però ha preso sopravvento un tono propagandistico da spot promozionale dell'eroismo cinese, e questa cosa mi è rimasta leggermente di traverso, insieme al siparietto dell'ultima scena a Lhasa, dove tutti ballano felici e contenti e soprattutto ignari delle politiche cinesi in Tibet.



Purtroppo mi ha deluso il Taiwanese Detention/Back to school, e ancora una volta il motivo è lo stile più che il contenuto che, anzi, sarebbe stato interessante. La storia è ambientata durante il cosidetto terrore bianco, un periodo in cui vennero perseguitati gli oppositori politici e tutti coloro che simpatizzavano per il comunismo o le idee di sinistra in generale. Siamo nel 1962 e, tra le altre cose, molti libri sono stati messi al bando; chi viene sorpreso a possederli o a leggerli rischia la pelle nel senso letterale del termine. In una scuola superiore due giovani insegnanti hanno creato una sorta di club dei libro proibito, malgrado sappiano quali rischi corrono se venissero scoperti. Tra i ragazzi che vi fanno parte c'è Fang Ray-shin che s'innamora di uno di questi insegnanti, il quale però ha una relazione con l'altra. La ragazzina ha un'idea per sbarazzarsi della rivale, ma la sua realizzazione porterà tutti alla rovina. Come dicevo, il problema del film è lo stile in cui è girato; è costruito come un horror, con Fang Ray-shin e un suo compagno che si ritrovano da soli di notte nella scuola e alcune presenze mostruose che appaiono. Alcuni flashbacks ricostruiscono la vicenda per cui alla fine si capisce bene che cosa è successo, però resto convinta che una sceneggiatura diversa avrebbe reso maggiore giustizia a questa storia.



Ecco il classico esempio di film con bravi attori, buona recitazione, alcune scene divertenti - come l'irruzione del gatto e del piccione nella casa del protagonista - ma che è talmente stereotipato che non mi ha trasmesso niente, a parte la convinzione che i coreani devono avere fatto tutti un patto col diavolo perchè Kim Rae-Won continua a essere gnocco malgrado il passare degli anni XD La trama di questo Crazy Romance/The Most Common Date vede un uomo e una donna sui trentacinque anni, entrambi variamente disillusi in questioni amorose, che s'innamorano ma, com'è prevedibile, tirano indietro, salvo poi infine decidersi a mettersi insieme. 



Ero curiosa di vedere Cheerful Wind per il fatto che risale al 1982. Si tratta di un film commissionato al regista sull'onda del successo della sua pellicola precedente che metteva in scena tre personaggi molto celebri all'epoca, mi pare di aver capito che fossero dei cantanti. La tripletta si ripresenta anche in questo film. Hsing-hui è una fotografa che si trova insieme a una troupe sull'isola di Penghu per girare uno spot commerciale. Il regista le fa la corte, ma lei non gli ha ancora dato un risposta; si sente invece attratta da un uomo che crede sia un isolano. Salta fuori che il tizio è cieco. Tornata a Taipei, lo reincontra e cominciano a frequentarsi. Scopre così che Chin-tai è un medico che ha perso la vista in un incidente e che sta aspettando il trapianto di cornea per tornare a vedere. La ragazza continua a frequentarlo senza dirgli che ha un quasi fidanzato e alla fine quando la cosa salta fuori lui giustamente s'incazza, anche perchè le ha chiesto di sposarlo. Tutto però finisce bene. Commedia leggera dunque, però gradevole anche per via della simpatia dei protagonisti; stendiamo un velo pietoso sulle canzoni della colonna sonora che in alcuni casi mi hanno portato vicino al taglio delle vene XD



Questo film e il successivo fanno pendant, difatti parlano, a distanza di parecchi anni, dello stesso avvenimento: l'assassinio del presidente Park Chung-hee avvenuto nel 1979 ad opera del capo dei servizi segreti Kim Jae-gyu (interpretato dall'immancabile Lee Byung-hun). The man standing next/The Heads of Namsan comincia un mese e mezzo prima dell'omicidio e ne rivela i retroscena. Si tratta di un film dalla solida recitazione e che, avendolo visto dopo quello di cui parlerò in seguito, mi è risultato più comprensibile, anche grazie alla sceneggiatura più lineare. Se non l'ho apprezzato più di tanto è perchè mi mancano i fondamentali, ovvero non sono coreana e l'assassinio di Park mi lascia piuttosto indifferente - a parte che non era certo uno stinco di santo e forse il mondo è stato un po' migliore senza di lui.



Come dicevo, anche questo The President's last bang/Then Those People parla dell'assassinio di Park, ma ricostruisce solo le ore immediatamente precedenti e successive. Il film è del 2005 e a interpretare l'omicida qui è Baek Yoon-Sik. L'ho rivalutato dopo aver visto The man standing next perchè subito non ci ho capito un cazzo. Come detto sopra, non sono coreana e ciò che so di questi eventi è ciò che ho letto su Wikipedia, quindi da principio l'impressione è stata di vedere un mucchio di gente che non avevo idea di chi fosse fare cose che non capivo. Eccellente, no? In seguito ho apprezzato, rispetto al precedente, il tono da black comedy.

NB: se vi state domandando perchè quasi tutti i film hanno due titoli, è perchè il primo è quello della distribuzione internazionale, il secondo è quello letterale o la sua traduzione; come forse ho già detto, sono una gran cagacazzi quando si tratta di traduzioni...