domenica 31 maggio 2020

maggio collinare


Finalmente dal 4 maggio ho potuto rimettere in moto la carcassa e ho ripreso le mie passeggiate. Sono andata sempre in collina, nei posti meno frequentati, così ho brillantemente risolto il problema del distanziamento sociale. Le cose sono tornate più o meno alla normalità. Il marito è tornato al lavoro a tempo pieno, o quasi, infatti in sede non deve essere presente più del 75% dei dipendenti e quindi è comunque a casa almeno una volta a settimana. Anche il figlio grande è tornato al lavoro, mentre il figlio piccolo ha raggiunto la sua sede universitaria e la fidanzata non appena è stato possibile. Io quindi mi sono ritrovata di nuovo a casa da sola per lunghe ore, ma non è mai stato un problema. In realtà non ho nemmeno il tempo di pensarci perchè sono sempre occupata con questo e quello. L'unica cosa che è cambiata per me è l'organizzazione della giornata. Prima del lockdown uscivo per shopping e commissioni tutte le mattine; non che avessi chissà che da fare, era più che altro una scusa per mettere il naso fuori e farmi un giretto in bici per il centro. Adesso vado solo al supermercato una volta a settimana, a parte eventuali emergenze, e il motivo è molto semplice: odio la mascherina e quindi cerco di evitare quanto possibile tutte le occasioni in cui mi toccherebbe indossarla. Beati quelli che la indossano senza problemi anche quando non serve, di certo vivono questa imposizione con molta più serenità di me.


Per il resto, sono stata occupata con la sartoria per bambole e altri progetti correlati. Ho provato a fare una chaise longue, però ho sbagliato una misura e non è venuta bene. Penso che la rifarò perchè come idea mi piaceva. E' invece riuscito bene il bean cushion della foto qui sopra, del resto è un progetto davvero molto facile che in più mi ha permesso di riciclare tutti i ritagli di stoffa che non usavo per l'imbottitura. Ho una lista di idee che non finisce più, tanto che ho deciso di non annotarle tutte come avrei fatto tempo fa, ma di lasciarle ruzzolare caoticamente nel cervello. Alla fine vinceranno quelle che non saranno state dimenticate (e tanto so che se mi dimentico quelle, me ne verranno in mente della altre XD).


A fine mese ho anche avuto i miei cinque minuti di gloria oltreoceano perchè la signora Chelly, alla quale avevo dedicato un post, è stato tanto gentile da voler contraccambiare e ha presentato sul suo blog il progetto del divano che avevo realizzato qualche tempo fa.

venerdì 29 maggio 2020

letture di maggio



Mentre stava per morire, a Perla Tull venne in mente uno strano pensiero, che le fece contrarre le labbra ed emettere un sospiro quasi come un fruscio: sentì il figlio al suo capezzale piegarsi su di lei. «Trovati... » gli disse. « Ti saresti dovuto trovare...»


Benchè Anne Tyler sia un'autrice nota, questo Dinner at the Homesick Restaurant è il primo suo lavoro che leggo, e devo dire che mi è piaciuto moltissimo. Il romanzo descrive una famiglia composta da madre e tre figli; il padre se n'è andato da un giorno all'altro, lasciando la donna a doversi occupare da sola dei ragazzini. E' un momento molto difficile, eppure Perla fa di tutto per i suoi figli, che però hanno di lei la visione di una persona distante e fredda, soggetta a scatti d'ira che la portano anche ad alzare le mani. Il figlio maggiore, Cody, è da sempre patologicamente geloso del fratello Ezra che ritiene il favorito della madre; pare che lo scopo della sua vita sia di rovinarla al fratello, ma non si rende conto che la gelosia ossessiva in realtà avvelena la sua stessa esistenza. Ezra invece è un carattere mite, una di quelle persone che paiono sempre contente di quello che hanno, sempre con modi pacati e un sorriso sulla bocca qualunque cosa accada. Divenuto padrone di un ristorante, egli cerca inutilmente di creare una parvenza di unità famigliare organizzando pranzi e cene che però non giungono mai alla conclusione perchè scoppia sempre qualche litigio che li interrompe. La sorella minore, Jenny, è forse quella che ha patito di meno le difficoltà della sua infanzia, anche se appare incapace di costruire legami affettivi solidi. Tutti i personaggi hanno ferite e ciascuno le affronta diversamente, attaccando o subendo. E' una storia dal gusto un po' amaro, di sofferenza taciute che, se magari fossero state espresse, avrebbero fatto meno male, nondimeno appare chiaro specialmente riguardo al personaggio della madre che proprio quel tacere le ha reso possibile stringere i denti e andare avanti malgrado tutto. Davvero un gran bel libro.



Henry Bridger si svegliò. Proprio accanto alle sue orecchie, delle pietre battevano su una superficie metallica con un rumore di tuono. Dopo qualche istante il fracasso si smorzò, si ridusse a un leggero scorrere di ghiaia, poi finì e fu il silenzio.

L. Sprague de Camp è un nome che non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati di fantascienza e di fantasy; tanto per dire, è il creatore del personaggio di Conan il barbaro. Meno noto ma comunque valido è P. Schuyler Miller, insieme al quale ha scritto questo romanzo nel 1941. A dire il vero, malgrado immagini che le intenzioni degli autori fossero serissime, a me questo Genus Homo ha dato l'impressione di essere un divertissement. Un gruppo di persone, coinvolte in un incidente stradale all'interno di un tunnel, si risvegliano nella terra del futuro. Non hanno idea di quanti anni siano passati, ma il Nord-America è diventato una foresta vergine abitata dall'evoluzione degli animali conosciuti. Tutti hanno assunto proporzioni gigantesche e le scimmie si sono evolute al punto da sviluppare lingua, scrittura e una civiltà. Dopo essere scampati a varie peripezie, gli uomini verranno catturati proprio da un gruppo di scimmie, finendo inizialmente esposti in uno zoo. La storia è scritta con brio e risulta divertente; oltre a illustrare gli inevitabili conflitti all'interno del gruppo degli umani, mi pare risolva in maniera troppo blanda i rapporti tra loro e le scimmie intelligenti, da qui l'impressione che mi sono fatta. Il pensiero è corso inevitabilmente a Il Pianete delle Scimmie, che però è successivo, quindi forse è stato questo romanzo di ispirazione e non viceversa. Chissà! 


Murray Gold, occhi castano chiaro, voce dolce con qualche sporadica traccia di balbuzie, statura un metro e sessantacinque e sempre con il vestito che dava l'impressione di essere mezza taglia in più, non aveva affatto l'aspetto di un criminale, e ciò gli aveva dato un immenso vantaggio competitivo.

At the point of a 38 fa parte di una serie di polizieschi con protagonista l'investigatore privato Michael Shayne, creatura di Brett Halliday (nome d'arte di David Dresser). Non ne avevo mai sentito parlare fino a questo volumetto che, lo confesso, ho raccattato dalla casetta del book-crossing solo per via della copertina. Non posso dire che mi abbia entusiasmato. Intanto perchè preferisco i delitti con motivazioni personali, mentre qui c'è un intrico di boss americani e terroristi palestinesi che mi è sembrato anche troppo macchinoso. Poi perchè il protagonista non mi ha detto niente. Ora, mi rendo conto che può essere dipeso dal fatto che non lo conoscevo e che mi sono persa quindi l'introduzione al personaggio; qui si dà per scontato che lo conoscano tutti, per dire. Però di per sé è un tipo che non mi è risultato molto simpatico perchè appare infallibile, mentre io ho un debole per quelli che sono leggermente sfigati, che alla fine riescono a sbrogliare la matassa, ma che nel mentre vengono corcati di mazzate, tanto per dirne una. Ancora una volta è un mio problema perchè il personaggio di Shayne, apparso per la prima volta negli anni Trenta, ha addirittura generato una serie di versioni cinematografiche e una serie televisiva.


Junji Itou è uno dei mangaka preferiti del figlio grande; io di suo non avevo mai letto niente, anche se avevo sommamente apprezzato la mostra dedicatagli a Lucca Comics and Games nel 2018. Siccome sono una gattara incurabile, avevo però preso questo volumetto che ho letto con il solito ritardo cronico. Le brevi storie narrano del rapporto dell'autore con i suoi due gatti Yon e Mu e mi hanno fatto morire dal ridere perchè, avendo io stesso una gatta, vi ho riconosciuto scene che sono capitate anche a me. L'unico difetto di questo volumetto è che è troppo corto (e anche un po' troppo caro, se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo, ma questo è un altro discorso che riguarda certe scelte editoriali che non ho la competenza di discutere; se avete la pazienza di approfondire, ne parlava Wally Rainbow QUI)


Un maestoso panfilo bianco filava lentamente sulle acque azzurre del Mediterraneo. Sulla prora era scritto in oro il nome che il proprietario, il maragià di Bangore, gli aveva dato: Trimourti.

I due signori che vedete nella foto sono i due fratelli Jeanne-Marie e Frédéric Petitjean de la Rosière; dal loro sodalizio artistico nacquero decine di romanzi rosa pubblicati sotto lo pseudonimo di Delly che ebbero un enorme successo tra gli anni dieci e gli anni cinquanta del Novecento. Il romanzo Un dramma a Madapoura – del quale non ho scansionato come al solito la copertina perchè era monocromatica e faceva un po' schifo- è il primo loro lavoro che leggo e si tratta di un secondo volume, però non ho avuto la minima difficoltà a seguire il tutto pur non avendo letto il primo. Siamo dalle parti della Invernizio, con la differenza che la trama mi è parsa leggermente più plausibile e che i personaggi sono meno svenevoli, ma persiste la descrizione di caratteri estremi di buoni buonissimi e cattivi cattivissimi. La nostra eroina si chiama Manon ed ha appena sposato il maragià dell'incipit. La fanciulla, recatasi in India insieme a lui, si trova ad affrontare l'ostilità dei fedelissimi del marito che desiderano manipolarlo perchè guidi una sommossa popolare contro gli Inglesi. Sopravvissuta a diversi tentativi di omicidio, fa ritorno in Francia in segreto dopo che la congiura viene confidata agli Inglesi da parte di un traditore. In Francia arriva anche la nemica giurata di Manon, Sati, un'indiana follemente innamorata del maragià e altrettanto follemente gelosa di lei. Manon però è al centro anche di un altro complotto, quello ordito da suo zio che, per impossessarsi dell'eredità del fratello, l'ha rapita da bambina facendone perdere le tracce. Alla fine di tutto la giovane si riunirà sia col marito che con la madre che la credeva morta. Ecco dunque un'altra bella polpetta, e non mi meraviglia che a suo tempo i libri di Delly abbiano avuto tanto successo, perchè ancora una volta mi sono divertita parecchio a leggere queste improbabili avventure. 



On the third of March, 1820, John Brodrick set out from Andriff to Doonhaven, intended to cover the fifteen miles of his journey before nightfall.

Il mio secondo neurone, uscito dal coma grazie alla lettura quotidiana di alcune pagine in inglese, pratica iniziata grazie a Robin Hobb, mi ha supplicata di continuare con questa sana abitudine, nella speranza di conservarsi vispo e sveglio. Così sono andata a frugare in cantina, dove ricordavo di aver messo alcuni libri in lingua originale, sempre raccattati ai mercatini. Ho cominciato con questo che è a firma di una scrittrice che apprezzo molto e che difatti è all'altezza degli altri suoi lavori che avevo già letto. La Du Maurier scrisse Hungry Hill agli ininzi degli anni Quaranta ispirandosi agli antenati del suo amico Christopher Puxley. Si tratta di una saga famigliare che spazia nell'arco di un secolo e ne è stato tratto anche un film nel 1947. Protagonista è la famiglia Broderick e, indirettamente, la famiglia Donovan. Questi ultimi nutrono dell'animosità nei confronti dei Broderick dopo che, qualche decennio prima, la loro terra è stata data in dono ai Broderick come risarcimento dell'assassinio di un loro membro da parte di un Donovan. Di fatto i Broderick sono visti come dei forestieri che non c'entrano nulla con la regione che abitano. Malgrado ciò, John Broderick vuole portare il progresso, e per farlo decide di aprire una miniera di rame nella collina di Hungry Hill. Si trova un socio e procede, anche se da principio si scontra con l'ostilità della gente del posto e deve servirsi di manovalanza di un'altra regione. La miniera prospera e gli rende dei bei quattrini; gli procura però anche una maledizione da parte di Morty Donovan. Non so se è o no colpa della maledizione, ma sta di fatto che, malgrado il successo negli affari, la famiglia Broderick è funestata da una serie di lutti. Al suo interno sembrano alternarsi due caratteri: quello estroverso e costruttivo e quello cupo e autodistruttivo. Il libro mi è piaciuto molto, però che tristezza in certi punti! E' proprio vero che il denaro non dà la felicità, anche se in certi casi può funzionare come anestetico. Il finale è all'altezza del resto e fa riflettere sul senso delle ambizioni umane.

mercoledì 27 maggio 2020

Dear ex


Song Chengxi è un adolescente il cui padre è morto da poco di cancro. L'uomo aveva da tempo lasciato moglie e figlio per vivere con il suo amante; la moglie diventa una belva scatenata quando scopre che è proprio l'amante il beneficiario della sua polizza sulla vita. Il ragazzino non sopporta più la convivenza con la madre che è sempre isterica e non fa che rimproverarlo, e si trasferisce a casa dell'amante del padre. Per lui è un modo di capire come stanno le cose, se davvero è lui il cattivo. La convivenza gli dimostra che non è così, e al contempo la presenza del ragazzo a casa sua fa rivivere a Jay i momenti salienti della storia con suo padre. In realtà Jay lo ha conosciuto prima che si sposasse; Song Zhengyuan ha sempre combattuto la propria omosessualità, fino al punto di volersi creare una famiglia normale. Intanto la madre di  Chengxi continua a presentarsi a casa di Jay, per insultarlo o per fare le pulizie, visto che vuole che il figlio viva in un ambiente sano e Jay non è esattamente un abile casalingo. Alla fine sarà lo spettacolo teatrale che Jay ha portato in scena quale omaggio all'uomo che amava a riappacificare gli animi. Questa pellicola taiwanese del 2018 ha ricevuto diversi premi ed è certamente un film che vale la pena di essere visto. Ricostruisce una storia d'amore toccante e fa sorridere e commuovere al contempo.

lunedì 25 maggio 2020

Pantano


Un pantano di nome e di fatto questa serie, difatti mi ci sono impantanta anch'io! In realtà il titolo originale – Rojst – fa riferimento alla vegetazione che si forma nelle zone umide, basse e paludose, coperte di muschi,  oppure a una torbiera. Dà un'idea di marcio e putrefazione che si adatta perfettamente a questa miniserie polacca dai toni dark. Siamo agli inizi degli anni Ottanta, in una città non identificata; un pezzo grosso del Partito Comunista viene trovato ucciso insieme a una prostituta. La presenza di quest'ultima viene occultata per non infangare il nome dell'uomo e l'assassino viene identificato in un uomo che ha problemi mentali. Due giornalisti, il veterano disincantato Wanycz e la giovane matricola Zanzycki, si mettono a investigare per proprio conto, rischiando la vita, pur di fare luce su ciò che realmente è accaduto. Si tratta di una gran bella serie, ben costruita e però un po' complicata da seguire, infatti si vede la luce giusto negli ultimi cinque minuti o giù di lì. Non è una di quelle storie in cui la scoperta del colpevole funge da liberazione o da catarsi, secondo me vuole piuttosto essere uno spaccato di quella che era la vita a quei tempi, mostrando attraverso questa indagine ufficiosa tutte le porcherie e gli abusi che stavano dietro al potere, nonchè le bassezze umane dettate da invidie e gelosie. Non è una serie facile, ma vale sicuramente la pena.

venerdì 22 maggio 2020

Chellywood.com: prêt-à-porter per tutte le bambole


Quando mi è venuta voglia di fare vestiti alle mie Barbie e alla Blythe, il primo scoglio è stato la difficoltà di reperire dei cartamodelli. Volevo fare le cose per bene, quindi mi sembrava un dettaglio non da poco. Nella mia lunga ricerca su Internet, mi sono finalmente imbattuta nel sito Chellywood.com ed è stato come sbarcare in paradiso. E' stato grazie ad esso se ho cominciato ad ingranare.


Per questo motivo vorrei ringraziare pubblicamente la signora americana che cura il sito perchè permette di scaricare molti cartamodelli per bambole di dimensioni varie, tutti accompagnati da un tutorial su Youtube. La signora cuce e fa vestiti per le bambole da quando ha l'età della ragione; il sito al momento non ha fini di lucro, il denaro guadagnato tramite gli annunci viene usato per il mantenimento per sito stesso e per sostenere iniziative di beneficenza. La signora ci tiene a divulgare la sua conoscenza, la considera il suo lascito all'umanità presente e futura, e io le sono certamente grata perchè è merito suo se ho imparato le tecniche di base. 


I video di Chelly non solo sono molto chiari, ma sono anche simpatici perchè li introduce una bambola dall'aria professionale. Io li trovo divertenti (a parte che non saprei nemmeno dove cominciare per fare qualcosa del genere, quindi tanto di cappello!). Del resto la stessa signora è molto gentile; l'ho contattata per chiederle se potevo parlare del suo sito e lei ha deciso di condividere qui un cartamodello per un vestito adatto alla Stacie della Mattel e a diverse bambole di dimensioni simili come le principesse Disney, Monster High, Ever After High, Bratz e Breyer Rider (per intenderci, sono bambole più piccole della Barbie classica, in rapporto 1:12).


Insomma, adesso non avete più scuse nemmeno voi: tirate fuori ago e filo e mettetevi al lavoro!!


mercoledì 20 maggio 2020

Si sente il mare


Fa parte del pacchetto di film dello Studio Ghibli approdato su Netflix questo Umi ga kikoeru 海がきこえる, anime del 1993 diretto da Mochizuki Tomomi – uno che ha avuto le mani in pasta in diversi titoli famosi. Alla vigilia di una cena di classe, Morisaki ripensa ai tempi della scuola, in particolare agli avvenimenti successi con l'arrivo di una nuova compagna da Tokyo. Rikako è molto carina ed ha attirato fin da subito l'attenzione di Matsuno, il miglior amico di Morisaki. La ragazza è molto brava sia negli studi che negli sport, ma questo, anziché renderla popolare, fa accadere il contrario. Trascinata lontano dal padre e dalla capitale, Rikako non vede l'ora di farvi ritorno e convince l'unica amica che si è fatta ad andare a un fantomatico concerto a Kyoto, mentre ha tutt'altra meta. L'amica, scoperto l'inganno, mette in mezzo Morisaki che accompagnerà al suo posto Rikako a Tokyo. L'incontro con il padre però non va come previsto. Intanto Matsuno litiga con Morisaki proprio per via di Rikako e i due finiscono per diplomarsi senza più essersi rivolti la parola. La cena di classe, oltre a essere motivo di riconciliazione tra i due, è anche il momento in cui Morisaki scopre che Rikako contraccambiava i suoi sentimenti. Finale delicato che con una sola battuta dà senso a tutto il film. Che dire? Anche se si tratta di un lavoro minore, questo anime ha una certa grazia e si segue piacevolmente; scorre via senza particolari colpi di scena perchè, come spesso accade nei film giapponesi, le cose importanti vengono lasciate sottintese. A giudicare da alcune frasi inutilmente arzigogolate, mi viene da dire che il nostro caro Cannarsi abbia messo mano anche ai sottotitoli.

lunedì 18 maggio 2020

Jexi


Ieri a pranzo ho mangiato troppo e così alla fine mi sono ritrovata in uno di quegli stati di prostrazione che potevano risolversi solo davanti allo schermo, ma per vedere cosa? Quando sto così mi occorre qualcosa di non troppo lungo e non troppo impegnativo, sennò succede che mi cala la palpebra. La scelta è caduta su questo filmetto che, corto e sciocco com'è, si è rivelato adatto allo scopo, anche se tutt'altro che memorabile. Un filmetto, appunto. Il protagonista, Phil, è un aspirante giornalista che si guadagna la vita compilando liste che devono attirare quanti più click possibile; egli è un asociale senza amici che passa la vita con cellulare in mano millantando che tutta gli vada bene su Facebook. Un giorno, mentre come al solito cammina distratto per strada perchè ha lo sguardo fisso sul cellulare, si scontra con le bella titolare di un negozio di biciclette e successivamente il cellulare finisce distrutto. Ovviamente Phil corre a comprarne uno nuovo che ha un nuovo assistente virtuale; fin dal primo momento è chiaro che si tratta di un software molto particolare, infatti Jexi – è il suo nome – risponde a tono a Phil e comincia addirittura a dettar legge con la motivazione di volergli migliorare la vita. Naturalmente le cose peggiorano sempre prima di migliorare, e anche qui succede lo stesso. Dunque, il filmetto si è lasciato guardare, ma giusto in fase digestiva; di certo non lo avrei preso inconsiderazione se fossi stata nel pieno possesso delle mie facoltà mentali. L'unico personaggio degno di nota è l'acida commessa del negozio di telefonia.

sabato 16 maggio 2020

Boris



Sono stata felicissima quando ho scoperto che Netflix aveva messo a disposizione le tre stagioni di Boris, la mitica serie italiana andata in onda tra il 2007 e il 2010. A suo tempo vidi tutta la prima stagione e forse parte della seconda, poi mi persi, non perchè non mi piacesse, ma molto più probabilmente per problemi miei (furono anni difficili). Di conseguenza per me è stato un duplice piacere rivedere le puntate già viste e gustarmi quelle per me nuove. Per chi non la conosce, Boris è una serie che mostra i restroscena della lavorazione di una soap opera. Non si tratta solo di attrici oche e protagonisti capricciosi; ci sono pure i raccomandati di ferro che non si possono toccare, gli stagisti trattati come schiavi, gli sceneggiatori fancazzisti, gli equilibri politici da rispettare, ecc. Oltre al cast fisso, ci sono diversi camei di attori italiani. Al centro della baraonda c'è il regista Renè Ferretti (l'ottimo Francesco Pannofino) che deve cercare di portare a casa la giornata, quasi sempre facendo le cose a cazzo di cane. Si ride parecchio, non c'è che dire, ma soprattutto ciò che è apprezzabile è l'originalità e la qualità di questa serie. Quasi quasi mi vado a cercare anche il film...

giovedì 14 maggio 2020

lavori in corso 3

Negli ultimi giorni ho messo da parte ago e filo, lasciando anche una delle Barbie in mutande, per dedicarmi a un altro progetto: un divano. Ci sono diversi tutorial su Youtube, in effetti non è stato complicato farlo, ha solo richiesto tempo e pazienza.


Questi sono alcuni dei pezzi utilizzati; io ho usato dei piccoli pannelli che hanno della carta all'esterno e della spugna rigida all'interno (dalla regia mi comunicano che si chiamano pannelli in polistirene). Sono grossi cm. 0,5 e si tagliano molto facilmente con il cutter. Li avevo in casa perchè rimastimi da un progetto precedente, ma si poteva usare anche del normalissimo cartoncino ondulato grosso (quello delle scatole del supermercato, per esempio).


Per la seduta ho fatto una scatola rinforzata all'interno da alcune traverse; lo so che le Barbie non pesano molto, ma ho preferito prendere questa precauzione per evitare affossamenti o crolli XD


Dopo aver tagliato i pezzi che servivano, ho incollato a due a due quelli dello schienale e dei lati per ottenere un maggiore spessore.


Ho poi ricoperto tutto con quella stoffa per imbottiture che avevo già usato per la sedia. In corrispondenza della seduta e dello schienale ho messo degli strati aggiuntivi. Il passo successivo è stato ricoprire di nuovo tutto, questa volta con la stoffa. Purtroppo ero talmente concentrata che mi sono dimenticata di fare la foto di questo passaggio!


Ed ecco qua il divano finito. Ancora una volta non è proprio perfetto, però, trattandosi del mio primo lavoro di questo genere, non posso che dirmi soddisfatta.


A completare l'opera ho fatto due piccoli cuscini. Avrei voluto farne di più, ma avevo finito l'ovatta per imbottirli. Ne avevo giusto un pugno, rimasto da non ricordo nemmeno più quale altro progetto. Quanto alla stoffa felina, era l'avanzo di un taglio che avevo usato per il cuscino sul quale siedo anche ora e che avevo acquistato anni fa online da Taiwan. A ricoprire il divano ci sono arrivata al pelo! Devo dire che, benchè abbia molta ammirazione per i minimalisti, io sono il genere di persona che non butta mai via niente (o quasi) e in certi frangenti ne sono molto contenta perchè va spesso a finire che riesco a utilizzare gli avanzi per progetti nuovi come in questo caso.


Ne approfitto per presentarvi il nuovo membro della famiglia che, come vedete, sembra gradire il divano. Siccome qua sono tutte femmine, ho deciso che era il momento di aggiungere un elemento maschile e ho preso questo Ken made-to-move. E' un po' caro per i miei gusti, ma da quando ho conosciuto la serie made-to-move non sopporto più le bambole con braccia e gambe rigide.


Il divano è adatto anche per le Blythe Dolls, però, a voler cercare il pelo nell'uovo, per loro occorrerebbe fare una seduta più stretta e più bassa perchè hanno le gambe più corte di quelle delle Barbie.


martedì 12 maggio 2020

Il peso dei segreti - Aki Shimazaki


Piove da quando mia madre è morta. Sono seduta accanto alla finestra che dà sulla strada. Aspetto l'avvocato di mia madre nel suo studio, ci lavora solo una segretaria.

Aki Shimazaki è nata a Gifu, ma si è trasferita in Canada nel 1981 e scrive in francese, eppure questo suo libro è profondamente giapponese. Costruito in cinque sezioni, ognuna delle quali riporta la storia, narrata in prima persona, di uno dei personaggi, il romanzo racconta appunto di una serie di segreti conservati gelosamente, alcuni fino alla tomba, e ci mostra come questo abbia influito sulle loro vite. Gira tutto intorno a due nuclei familiari; da un lato abbiamo gli Horibe – padre, madre e figlia – dall'altro i Takahashi – padre, madre e figlio. Tra di loro esiste un legame segreto che porterà a una tragica conseguenza sullo sfondo della guerra e della bomba atomica di Nagasaki. E' interessante vedere come questo segreto però non impedisca ad alcuni di loro di essere comunque felici, anche se viene da chiedersi che cosa sarebbe successo che fosse stato rivelato subito. La scrittura di Shimazaki è delicata e poetica, e mi sono ritrovata con gli occhi umidi in più di un'occasione. Questo è uno dei libri più belli e toccanti che ho letto ultimamente, tornerò sicuramente a quest'autrice.

venerdì 8 maggio 2020

I banditi di Jan


Dopo i pirati, ho deciso di restare tra i criminali e, spostandomi di una ventina d'anni nel 1700 rispetto alle loro vicende, di seguire le gesta di Jan de Lichte, brigante fiammingo. Questa serie belga ne narra la storia usando come canovaccio il romanzo omonimo di Louis Paul Boon. Jan de Lichte è veramente esistito ed è stato un soggetto inquieto e violento, ma la versione che ne diede lo scrittore – e che ora ne dà la serie – è quella di una sorta di Robin Hood. Tornato a casa dopo aver passato alcuni anni nell'esercito e ricercato per omicidio e diserzione, Jan si ritrova davanti una città completamente nella mani dell'avido borgomastro e dei suoi degni compari, con la popolazione impoverita che a ogni minima infrazione viene punita pubblicamente, marchiata ed esiliata. Si è così formata una comunità di poveracci che sopravvivono a malapena nei boschi; Jan ne diventa il leader naturale e mette a segno un assalto alla diligenza che frutta molto denaro, denaro che viene diviso fra tutti. Ci sono tuttavia divisioni tra gli stessi banditi e tradimenti in agguato; sopravvissuto alla forca, Jan torna deciso a farsi vendetta. Devo dire che questa serie è stata una bella sorpresa; è sempre piacevole lasciarsi stupire da qualcosa di inaspettato. La figura immaginata di Jan ha certamente qualcosa di accattivante e la storia corre via in maniera coerente, gratificandoci con la giusta fine per i cattivi – che ovviamente non sono i banditi. La cose in realtà saranno andate molto diversamente, ma resta comunque la fama di questo personaggio che è rimasto nell'immaginario collettivo per parecchio tempo dopo la sua morte.

mercoledì 6 maggio 2020

Black Sails


Il primo incontro con i pirati dei quali ho ricordo risale a quando vidi Il Corsaro Nero con Kabir Bedi, che difatti era un corsaro e non un pirata, ma insomma. La logica conseguenza fu che in occasione della Cresima mi venne regalato sia il libro omonimo che il successivo, Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. In seguito acquistai anche un libro che parlava dei pirati più famosi; non ci ho mai perso la testa, ma ho certamente gradito molto i film del ciclo dei Pirati dei Caraibi (specialmente i primi), anche perchè Johnny Depp è uno dei miei attori preferiti di sempre. Un certo interesse per la pirateria si è risvegliato in me durante la lettura della trilogia dei Mercanti di Borgomago di Robin Hobb, e infine ho guardato questa serie di quattro stagioni che avevo da tempo sulla lista di Netflix. Black Sails è un abile lavoro di fantasia; è una premessa doverosa, in quanto gli autori hanno messo insieme quei pirati famosi dei quali avevo letto con i personaggi de L'isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson (letto così tanto tempo fa che ricordo solo che mi era piaciuto un sacco), aggiungendo infine alcuni personaggi creati di sana pianta. La fantasia arriva anche a stravolgere gli eventi storici, soprattutto per quanto riguarda la linea temporale, ma benchè di solito io sia sensibile a questo argomento e mi urti vedere certi cambiamenti, in questo caso specifico ci sta un bel chissenefrega. Sì perchè questa serie è bellissima ed è anche bello immaginare che le cose siano andate in un certo modo invece che come sono andate effettivamente. L'azione gira intorno a Nassau, che nei primi due decenni del 1700 fu il paradiso indiscusso dei pirati. Vi incontriamo il capitano Flint, ex-ufficiale della marina inglese riconvertitosi in uno spietato fuorilegge a causa del suo doloroso passato; egli pianifica da tempo di impadronirsi dell'oro trasportato da un galeone spagnolo, ma gli occorre sapere esattamente la sua rotta. La pagina che la riporta però è stata trafugata da John Silver, un giovane marinaio poco propenso a farsi accoppare e determinato invece a guadagnare il possibile dal suo trofeo. Flint non è amato dalla sua ciurma perchè è un uomo riservato che non rivela mai il motivo delle sue azioni, anche quando esse prevodono che venga messa a rischio la vita dei suoi uomini; persegue un suo sogno e per realizzarlo è disposto a tutto. D'altro canto John Silver appare come il tipico paraculo dalla brillante parlantina, abile a salvarsi nelle situazioni più disperate volgendole a proprio vantaggio. Sono loro il nocciolo della questione, che vede schierati in campo altri personaggi indimenticabili, come il selvaggio capitano Charles Vane, l'apparentemente debole ma astuto Jack Rackham – Calico Jack, colui che di fatto ha ispirato il Jack Sparrow di Johnny Depp, oltre ad aver inventato la famosa bandiera Jolly Rogers - l'indomito Barbanera, la spregiudicata Eleanor Guthrie e la sua degna compare Max, eccetera eccetera. E' una storia epica in cui l'interesse del singolo si scontra spesso con l'ideale del bene comune, in cui quelli che commettono gesti di eroismo e vivono in accordo ai propri ideali sono coloro che per il governo britannico vanno sterminati in quanto pericolosi criminali, una storia di tradimenti continui, di alleanze che si sfaldano davanti al migliore offerente o che resistono alle peggiori circostanze. Insomma, una di quelle storie che coinvolgono e che non vorremmo vedere finire. A proposito, il finale in questa serie avrebbe potuto fare la differenza: bastava sbagliarlo per vanificare il tutto. L'effetto delusione però è stato evitato in quanto la vicenda si conclude in maniera agrodolce,  con diversi personaggi che hanno ciò che si meritano – nel bene e nel male – e altri che magari non meriterebbero ciò che gli succede, ma vabbè. 

lunedì 4 maggio 2020

Survival Family


Se non vi siete ancora stufati di guardare pellicole apocalittiche, eccone un'altra. Survival Family,  film d'apertura della diciannovesima edizione del Far East Film Festival, è una tragicommedia ispirata ad un blackout realmente accaduto a Tokyo nel 2011. Protagonista è una famiglia come tante; Suzuki Yoshiyuki è il classico salary man totalmente immerso nel proprio lavoro, sua moglie Mitsue (Fukatsu Eri) una casalinga che si prende cura di lui e dei figli adolescenti Kenji e Yui. L'inizio del film li vede mentre Mitsue e Yui storcono il naso davanti all'ennesimo pacco inviato dal padre di Mitsue (interpretato da Emoto Akira) che vive a Kagoshima, nel sud del Giappone. Il pesce pescato dall'uomo finisce in frigorifero con una storta di naso, la verdura direttamente nel cassonetto quando esce un bruco dal cavolo. La mattina dopo ci si risveglia senza corrente, ma quello che da principio sembra a tutti un normale blackout destinato a risolversi in poco tempo è in realtà un fenomeno molto ampio che affligge non solo tutta Tokyo, ma altre regioni del Giappone. Da principio ci si arrangia come si può, comprando cibi precotti, prendendo l'acqua alla fontana, eccetera; le cose però diventano sempre più difficili perchè non funzionano più nemmeno le automobili e quindi non c'è più approvvigionamento di cibo. Suzuki-san si procura allora delle biciclette e i quattro si mettono in viaggio con l'idea iniziale di prendere un aereo poi, dopo aver scoperto che ovviamente nessun volo è possibile, affrontano su due ruote il lunghissimo tragitto verso Kagoshima. Ne succederanno di tutti i colori, tanto che ci metteranno tre mesi per arrivare e, una volta sistemati, saranno costretti a restare per più di due anni, ovvero fino a quando non torna la corrente. Il ritorno a Tokyo li vede però cambiati in meglio, finalmente sorridenti e soddisfatti, una famiglia vera e unita. Film che a me è piaciuto e che mi ha fatto spesso sorridere; magari non dirà nulla di originale, ma le disavventure dei Suzuki potrebbero essere le nostre e tra le tante catastrofi che possono capitare un bel blackout non è certo da escludere. La fragilità delle nostre esistenze cittadine balza agli occhi e, come spero qualcuno abbia imparato dal lockdown e dalla pandemia, la nostra scala dei valori necessita quasi certamente di essere rivista. Dirige con garbo Yaguchi Shinobu, regista che avevo già apprezzato per due film molto carini, Swing Girls e Waterboys.

sabato 2 maggio 2020

un mese in quattro foto: aprile


Questo è l'altro piatto giapponese - oltre ai makizushi - che mi sono avventurata a fare finora: il curry rice. Ne esistono molte varianti in quanto si tratta di un piatto molto diffuso; io ho scelto una versione semplice. In pratica è uno spezzatino di carne con verdure che viene accompagnato dal riso; l'ingrediente magico è il dado al curry che può essere più o meno piccante e che forma il sughetto denso e saporito nel quale sguazza il tutto.


Restare perennemente chiusi in casa non è propriamente stimolante dal punto di vista fotografico, per cui anche questo mese mi sono ritrovata a volte a immortalare i miei figurini, magari immaginando di essere al loro posto.


Una delle conseguenze più antipatiche del lockdown è stata la chiusura del mercato cittadino. Da anni compro frutta e verdura a chilometro zero dalla mia ortolana di fiducia; sono così viziata dai suoi sapori genuini che schifo del tutto la frutta del supermercato. Per fortuna la comare si è attivata per le consegne a domicilio e ogni volta che mi consegna la roba mi fa omaggio di un bel fiore.



Ancora un paio di giorni e poi in casa non dovremo starci più tanto come prima. Almeno fino al prossimo lockdown...