Pietrogrado esalava odore di acido fenico.
Una bandiera di un rosa grigiastro, un tempo rosso, penzolava fra l'intrico delle traverse di ferro. Alte travi si innalzavano fino a un tetto di lastre di vetro che la polvere sovrapposta in tanti anni aveva reso scure come il ferro; qualche lastra era rotta, forata da colpi ormai dimenticati e le punte acuminate si ergevano in un cielo grigio come vetro.
Questo è il primo libro scritto da Ayn Rand e mi balzò in mano a uno dei mercatini che frequentavo (e che non so quando tornerò a visitare, vista la situazione). Basato su esperienze vissute in prima persona, in quanto la Rand visse a San Pietroburgo fino al 1925, anno in cui decise di rimanere negli Stati Uniti dove si era recata a visitare dei parenti, racconta della lotta per la vita della giovane Kira. La Rand ha un modo di scrivere eroico, così come eroici sono i suoi protagonisti; si può non condividere le loro scelte e le loro affermazioni, ma sono sempre figure integerrime, mai dome, che combattono fino alla morte per ciò in cui credono. Kira crede di avere il diritto di scegliere liberamente cosa fare della sua vita e di poterla vivere pienamente; il problema è che nella Russia comunista questo non è possibile. Mentre lei però continua a lottare, il suo innamorato lentamente si arrende e in questo caso il suo eroismo di partenza decade nello squallore. Altro eroe è il comunista duro e puro Andrei, a dimostrazione che con la Rand non bisogna fermarsi al primo livello di lettura: facile è concludere che questo libro è una feroce critica del comunismo, in realtà è un atto di accusa contro qualunque regime o sistema impedisca la libera realizzazione dell'individuo. Di conseguenza Andrei, che è convinto delle sue idee e combatte per esse, diviene eroico per questo, perchè non si arrende, perchè è coerente fino in fondo e perchè è consapevole e umano. Anche se non arriva all'eccellenza di Atlas Shrugged, il capolavoro della Rand, a me questo libro è piaciuto molto. Ho letto un aneddoto interessante a proposito del film che gli italiani ne trassero nel 1942, all'insaputa dell'autrice. Il film, che inizialmente durava quasi quattro ore e venne quindi distribuito in due parti, venne presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e ottenne grande successo, anche perchè interpretato da due divi dell'epoca: Alida Valli e Rossano Brazzi. Il film aveva passato la censura perchè considerato appunto come fortemente anticomunista; peccato che dopo qualche tempo si accorsero dell'altro aspetto, ovvero la critica a un regime dittatoriale, e lo ritirarono.

Fu
il professor Donald Flanagan della Tampaget University a chiedermi di
raccontare in dettaglio tutti gli avvenimenti verificatisi a
Marblehead, nel Massachusetts, nel corso di quel periodo che da
allora in poi si cominciò a chiamare l'Orrore.
Marblehead
è una soporifera cittadina costiera che, passata la stagione
turistica, campa immersa in una quieta routine. Proprio per questo
motivo lo scrittore Lou Stuart, in crisi creativa, decide di
soggiornarvi per un paio di settimane, allontanandosi dalle
distrazioni e dal caos di New York. Ignora però che sta per
scatenarsi l'inferno: i gatti del posto, impazziti, cominciano ad
aggredire e uccidere le persone. Si potrebbe dire che questo Claw è
la risposta felina a Gli uccelli; l'idea è anche carina,
sullo svolgimento ho qualcosa da ridire perchè mi pare che si sia
esagerato, se non sulle nefandezze, sicuramente sul numero degli
animali coinvolti. Inutile anche il capitolo con una scena di sesso
tra due dei protagonisti. Di certo, dopo averlo letto, nessuno
guarderà il proprio micio allo stesso modo XD
Erano appena suonate le sei del mattino, un mattino piovoso del mese di marzo dell'anno 1639.
Questo purtroppo è l'ultimo libro della Invernizio attualmente in mio possesso e mi sento già piena di nostalgia non avendo più a disposizione altre storie piene di pathos e altamente improbabili come solo lei sa scrivere XD Questo libro, pubblicato nel 1916 ed ambientato nel Seicento a Torino, non è naturalmente un romanzo storico, in quanto l'ambientazione le serve solo per calcare ancora di più la mano infilandoci torture e roghi, nonché ville infestate da presunti fantasmi. La triste vicenda ha inizio quando un nobile rivolge un complimento volgare seguito da carezza lasciva a una giovane per strada; la fanciulla è accompagnata dal padre, che subito vendica l'onta ferendo il maleducato. Poichè egli è solo un poveraccio, pensa di mettersi in salvo con la fuga e si unisce ad alcuni briganti dei quali diventa il capo. Il nobile intanto continua a pensare alla ragazza, che ovviamente è straordinariamente bella. Succederanno le solite tragedie, i soliti tradimenti, le solite vendette. Ah Carolina, le polpette che scrivi tu non le scrive nessuno!

Al ristorante si tesse un velo tra il mio interlocutore e me. E mentre lui continua a parlare, la trama diventa sempre più fitta, finchè il velo diventa un lenzuolo nel quale mi crogiolerei con voluttà.
Pierre Daninos è stato uno scrittore umorista francese, ma io questo l'ho scoperto solo dopo aver letto questo libro che, arraffato a un mercatino, per via della copertina avevo creduto essere un giallo; in realtà, se la memoria non mi inganna, mi pare che effettivamente si trovasse in mezzo ai gialli. Pubblicato nel 1966, si tratta invece di un racconto autobiografico sulla depressione della quale egli soffrì per qualche tempo. Lo stile è comunque umoristico, per cui è un libro sulla depressione che non fa venire la depressione, ma che fa sghignazzare invece. Daninos, prima di soffrirne, è convinto che non si tratti di un vero disturbo, quanto di una sorta di moda. Scopre poi non solo che è una cosa seria, ma che tanti altri ne soffrono o ne hanno sofferto. Trovare la cura giusta diventa un pellegrinaggio fra diversi medici, ognuno con la propria soluzione, nessuna delle quali sembra efficace. Alla fine però Daninos esce dal tunnel e torna a godersi la vita. Questo è il genere di libro che leggerei per ammazzare il tempo, se ancora viaggiassi in treno: gradevole, che non richiede particolare concentrazione, che si dimentica quasi subito dopo averlo letto.

Soffrire per l'arte lo posso capire, ma morire? Non è proprio nel mio stile.
Josh Lanyon, pseudonimo di Diana Killian, è una popolare autrice di romanzi M/M, genere del quale ignoravo l'esistenza non perchè sono una persona morigerata, ma semplicemente perchè non pensavo avessero inventato una categoria per questo tipo di storie. A questo Somebody Killed His Editor, che è del 2009, sono arrivata come al solito del tutto casualmente e solo perchè Amazon aveva messo diversi ebook in saldo in occasione del Black Friday. Difatti ho esordito comprando un paio di best sellers in lingua originale allo scopo di mantenere in forma il mio famoso secondo neurone, anche se grazie alle attività con le bambole sento che sta per risvegliarsi pure il terzo, e poi mi sono detta che, già che c'ero, potevo pure prendere qualche altro titolo giusto per, anche perchè le biblioteche sono chiuse e la casetta del bookcrossing è desolata. Anche quando ho cominciato a leggerlo non avevo idea di dove mi stessi infilando, perciò potrei concludere che si è trattato di una piacevole sorpresa. Si tratta di un misto di giallo classico e romanzo rosa, che detto così in effetti suona leggermente agghiacciante, però la formula funziona perchè, tolte le scene di sesso appassionate tra i due protagonisti, la parte del giallo regge; oltretutto lo stile è brioso e divertente. I due personaggi principali sono scrittori, ma in passato sono stati anche per breve tempo amanti. Si ritrovano casualmente ad un workshop dove il primo, Christopher Holmes, si è recato al solo scopo di avere un incontro con un importante editore e convincerlo a continuare a pubblicarlo, perchè la sua stella è in declino. Al contrario il secondo, J.X. Moriarity, è sulla cresta dell'onda. Holmes s'imbatte in un cadavere prima ancora di arrivare al cottage dove si svolge l'incontro; è quello di una scrittrice tanto popolare quando odiata, infatti parecchi, alla notizia della sua morte, dichiarano di non esserne affatto sorpresi. Al secondo cadavere da lui rinvenuto, c'è chi comincia a pensare che sia proprio Holmes il colpevole, ma Moriarity, che è un ex-poliziotto, è convinto della sua innocenza e cerca di proteggerlo dal vero assassino. Fate a caso ai cognomi: si tratta di un chiaro omaggio ai più famosi Sherlock Holmes e James Moriarty.

Agatha Raisin guidava lentamente verso il villaggio di Carsely, al ritorno da una lunga vacanza, quando ormai l'inverno mite e piovoso cedeva il passo alla primavera.
Con lo pseudonimo di M.C. Beaton, la popolare e prolifica scrittrice inglese Marion Chesney – scomparsa meno di un anno fa – ha scritto una serie di gialli con protagonista Agatha Raisin, una poco più che cinquantenne ex-PR che si è ritirata a vivere in un paesino delle Cotswolds. La si potrebbe definire la versione più giovane e più birichina di Miss Marple, nel senso che anche lei non fa che incappare in delitti che poi risolve, ma è ancora abbastanza giovane per provare attrazione per gli uomini ed ha una certa tendenza a imbrogliare a proprio favore. La serie, iniziata nel 1992, conta la bellezza di ventinove titoli; questo è il terzo ed è del 1994. Esiste anche una serie TV di sedici episodi (al momento: l'ultimo infatti è di quest'anno) che cercherò di vedere, se mai mi riuscirà (la vedo dura, non saprei dove trovarli). Mi aspetto che siano briosi e divertenti come questo libro, nel quale Agatha, al ritorno dal suo lungo viaggio, trova che tutto il villaggio è rimasto affascinato dalla nuova venuta, Mary, una divorziata sua coetanea con un fisico da urlo, la faccia rifatta e la tendenza a fare battute sgradevoli. E' proprio lei la vittima, e non ce n'è da stupirsene quando si scopre che è riuscita a offendere tutti i compaesani. Ci sono tutti gli elementi che mi piacciono in questo genere di gialli: l'ambientazione british, una protagonista simpatica – benchè non sia uno stinco di santo – battute salaci e personaggi pittoreschi. In questo caso c'è anche un delitto altrettanto pittoresco, come si capisce dalla copertina XD

Poliziotti prima di colazione. Prima del caffè, per di più. Come se i lunedì non facessero già abbastanza schifo.
La curiosità uccise il gatto, e anche la Guchi, aggiungerei. Così quando ho cercato notizie su Josh Lanyon dopo aver letto Qualcuno ha ucciso il mio editor, mi è balzato agli occhi un dato molto particolare: un altro dei suoi libri è finito al quinto posto nell'annuale classifica giapponese del genere BL, primo e unico romanzo straniero a essere entrato in classifica. Detto fatto, ho voluto leggere pure quello. Primo di una serie di sette che a sua volta ha ricevuto un premio nella categoria M/M, vede come protagonista il libraio gay Adrien English. E' lui che viene svegliato dai poliziotti un lunedì mattina e informato che Robert, il suo migliore amico, è stato ritrovato in un vicolo, accoltellato numerose volte. Adrien è naturalmente sospettato dell'omicidio, anche perchè la sera prima qualcuno ha visto lui e Robert litigare; è anche per questo che ad un certo punto si mette a fare qualche ricerca a titolo personale finendo per scoprire che quel delitto ha le gambe molto lunghe. Da amante dei gialli, che ho sempre letto in tutte le salse, devo dire che questo libro mi è piaciuto; come già notato per il precedente, la costruzione della trama regge molto bene, e qui c'è anche un crescendo di tensione e un bel po' di interrogativi ai quali rispondere, anche se alla fine è facile intuire l'identità del colpevole. Certo, siamo ben lontani da certi autori che sono tra i miei preferiti, ma di certo se si è in cerca di una lettura gradevole, divertente e veloce, questo è consigliato - a meno che non siate omofobici. A proposito, ma sono io o gli ebook si leggono molto in fretta? Forse a questo giro mi sono capitati libri di breve durata...