mercoledì 31 gennaio 2018

gennaio sonnacchioso

fonte: http://www.librivintage.it/

Il mese si è aperto con la polemica sull'introduzione del balzello sui sacchetti di plastica. Sul faccialibro ne ho lette di tutti i colori, perfino da persone che normalmente non dicono particolari fesserie. A me la cosa economicamente non cambia nulla; visto che non sono normale, sono più di vent'anni che non prendo una sporta al supermercato visto che ho sempre le mie, così come dall'ortolana in piazza riciclo a oltranza quelle che mi dà lei. Insomma, restano solo le sportine di frutta e verdura del negozio in cui vado un paio di volte a settimana (al supermercato le compro solo in caso di estrema necessità perchè la qualità non mi soddisfa). 


meno male che su Facebook c'è stato anche modo di farsi due risate

La cosa triste per me comunque non è tanto il dover pagare le sportine, quanto il comportamento del governo. Ci sarebbero stati tre anni di tempo per informare, educare e sensibilizzare i cittadini al problema della plastica, ma come al solito non si è fatto nulla e si è scelta la via del balzello che è servita solo ad esacerbare gli animi senza insegnare nulla di ecologico a nessuno. 

foto fatta col cellulare, perciò non è granchè

A parte la plastica, gennaio mi è sfuggito di mano senza particolari avvenimenti. Il giorno dell'Epifania col marito siamo andati a Cesenatico: passeggiata sulla spiaggia e poi lungo il portocanale, dove ogni anno viene allestito il presepe sulle navi. Le statue sono orride, ma il colpo d'occhio merita, ovviamente quando è buio che così rende di più. Al mare poi ci sono tornata un'altra volta da sola a fare foto, ma il sole non ha retto per molto. Queste sono state le uniche gite fuori porta del mese, a parte quella a Milano.


Lianca Pandolfini, la brava attrice di La strada di casa

Sono anche stata a teatro con la mia amica del corso di recitazione: lo spettacolo, intitolato La strada di casa, trattava dell'esodo dei greci dall'Asia Minore negli anni Venti. Ci è piaciuto molto, e non solo a noi, a giudicare dagli applausi che non finivano più.

lunedì 29 gennaio 2018

ll racconto dell'ancella (The Handmaid's Tale)


Questa serie TV è tratta dall'omonimo e pluripremiato romanzo di Margaret Atwood. Di questa autrice ho sentito parlare, ma non ho mai letto niente di suo. Benchè fossi curiosa di leggere il libro, ho volutamente guardato prima la serie per evitare le solite delusioni ed è finita che il tutto mi ha angosciato a tal punto che ho deciso di non leggerlo proprio, almeno per ora, per evitare di soffrire ulteriormente. Il contesto è quello di una dittatura religioso-maschilista che si è affermata in parte degli Stati Uniti; le donne hanno perso tutti i diritti e vengono relegate a varie forme di servitù. Siccome c'è un grave problema di infertilità, quelle che in passato hanno avuto figli vengono messe a disposizione degli uomini al potere con mogli sterili e viste essenzialmente come uteri ambulanti. Ricade in questo gruppo la protagonista June, ribattezzata Offred (ovvero: di Fred, a sottolineare che appartiene a Fred), la quale è disposta a sopportare tutto nella speranza che l'incubo finisca e che lei possa riabbracciare la figlia che le è stata tolta per darla in adozione a qualche coppia senza figli. Lo scenario è claustrofobico e paranoico; non ci si può fidare di nessuno perchè chiunque potrebbe denunciarti, e allo stesso modo bisogna stare attenti a pesare gesti e parole per non destare sospetti. Offred si trova oltretutto coinvolta da Fred in attività che esulano il suo compito di utero vivente (l'uomo la convoca nel suo studio per giocare a scarabeo) e, come se non bastasse, ad un certo punto la moglie di Fred, conscia che molto probabilmente è sterile pure lui, le propone di tentare di farsi inseminare dall'autista, che però fa parte degli Occhi (le spie del governo). Insomma, una roba da taglio delle vene. La serie mi è piaciuta perchè l'ho trovata realizzata molto bene (anche se non so di quanto si discosta dal romanzo), ma ho fatto una dannata fatica ad arrivare alla fine per via del perenne magone che mi ha provocato.



sabato 27 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri


Una volta tanto non sono rimasta delusa: non è la prima volta che leggo recensioni positive di qualche film che invece a me non dice granchè (e viceversa, se è per questo). Tanto per cominciare, credo che gran parte del merito vada a Frances McDormand che è stata davvero superlativa. Si tratta di una storia amara eppure non del tutto negativa in quanto da qualche parte si vede la fine del tunnel o la redenzione, che dir si voglia. E' anche una storia che fa riflettere su molti temi, dal senso di impotenza quando qualcuno che amiamo ci viene strappato in maniera tanto crudele alla rabbia che diventa la nostra sola ragione di essere, ma che non può mai essere la soluzione. La protagonista, Mildred, non si sa rassegnare al fatto che il colpevole dello stupro e dell'omicidio della figlia a distanza di sette mesi non sia ancora stato identificato. Le viene l'idea di affiggere dei grandi cartelli pubblicitari denunciando l'inerzia dello sceriffo, che però è una brava persona ed è amato e rispettato dalla comunità. In effetti egli ha fatto il suo dovere, ma il caso è rognoso, non si sono trovati riscontri per il DNA e quindi oggettivamente non si può fare nulla. Lo sceriffo tra l'altro è pure malato di cancro e arriva a suicidarsi per questo, cosa che non fa che esacerbare ulteriormente gli animi contro Mildred. Eppure questa spirale infernale si può spezzare, forse bastano delle scuse sincere e la confessione di un gesto compiuto in un momento di furia.


So che questo film ha ricevuto diverse candidature agli Oscar e mi viene da dire che almeno una statuetta se la potrebbe portare a casa. Non mi sono mai impegnata a vedere tutti i film candidati di ogni stagione, a questo giro ho notato che con questo fanno tre (gli altri due che ho visto sono Call me by your name e Ladybird), così quasi quasi mi metto d'impegno e ci provo. Già avrei delle difficoltà a scegliere tra questo e Call me by your name, perchè anche se si tratta di storie e contesti tanto diversi, entrambi questi film mi hanno toccato e non mi capita spesso di emozionarmi tanto.

giovedì 25 gennaio 2018

ogni scusa è buona


Ormai Milano per me è diventata una tappa di routine, vista la frequenza con cui ci sto andando. Difatti anche ieri ci sono stata, approfittando del solito biglietto ferroviario scontatissimo. Le previsioni davano freddo, nuvole e umidità, perciò da brava Guchi ero partita imbottita come un tacchino e senza occhiali da sole (sono sempre carica come un somaro e volevo lasciare a casa tutto il superfluo); è finita che c'era il sole e così mi sono accecata, oltre a sudare. La giornata è cominciata al Cimitero Monumentale dove mi sono dedicata alla parte che non avevo visto l'altra volta (ma è talmente grande che non l'ho ancora visto tutto). Ho fatto di nuovo tante foto senza alcuna garanzia di buona riuscita (io e l'esposimetro della Praktica non ci trovavamo quasi mai d'accordo e ho preferito seguire il mio naso).


Mi stavo chiedendo come mai da un anno a questa parte ho questa fascinazione per i cimiteri. Anche in passato mi hanno affascinato, ma non al punto di preventivare una gita appositamente per fare foto alle statue funerarie. Immagino c'entri anche il fatto che mi piacciono le cose vecchie e rotte e spesso mi trovo a fotografare proprio le statue più deteriorate.

finalmente sono riuscita ad assaggiare il jajangmyeon

Comunque sia, ad un certo punto ho realizzato che era ora di pranzo e siccome avevo studiato prima di partire, mi sono diretta a colpo sicuro da My Kimchi, il ristorante coreano di Via Montello 9, del quale avevo letto delle buone recensioni. La zona vicino al cimitero è quella a più alta concentrazione di asiatici, tant'è che viene ormai chiamata Chinatown, ma non ci sono solo cinesi. La cosa che mi ha favorevolmente sorpresa di My Kimchi è che gli altri clienti erano tutti coreani, segno che la cucina è fedele all'originale. Il menù è molto più ricco rispetto al coreano di Ferrara, e così oltre al solito gimbap, ho anche preso il jajangmyeon, ovvero tagliolini con salsa di fagioli neri, il tutto annaffiato da birra (coreana pure quella, ovviamente) e suggellato da un italianissimo espresso, che non sarà stato ortodosso ma ci voleva.


A piedi ho raggiunto il Museo della Permanente per visitare la mostra dedicata a Utagawa Kuniyoshi, pittore giapponese vissuto nella prima metà dell'Ottocento.  Le 165 silografie esposte dimostrano la grande perizia e la sfrenata creatività di questo artista.


Questa qui sopra è l'immagine forse più inquietante tra quelle esposte.


Kuniyoshi però era anche un gattaro ed è celebre perchè ha spesso rappresentato felini, pure in forma umana. La mostra mi è piaciuta moltissimo, se fossi ricca mi piacerebbe potermi permettere l'acquisto di un suo lavoro originale, invece è finita che ho attraversato in lacrime il book-shop pieno di libri e oggettistica giapponesi, perchè mi sarebbero occorsi una carriola e un paio di migliaia di euro per prendere tutto e invece mi sono dovuta accontentare di un quaderno. A quel punto mancavano quasi due ore al treno e dieci foto per finire il rullino, quindi ho gironzolato un po' per il Parco Indro Montanelli e sono tornata in stazione a piedi.

martedì 23 gennaio 2018

siete ridicoli


Una mia conoscente sta facendo l'ennesimo corso di fotografia. Già qui ci sarebbe da perculare, difatti io penso che se hai voglia di fotografare semplicemente prendi la macchina ed esci a fare foto; di corsi di fotografia magari ne fai uno, non svariati, e poi mi risulta che esista una cosa che si chiama esperienza e che di certo i corsi non ti insegnano. E vabbè. La perla però arriva da parte dell'insegnante (che a questo punto mi piacerebbe conoscere). Questa bella persona tenta di convincere i suoi allievi che per fare delle belle foto devono avere una reflex digitale. La mia conoscente, che dopo aver parlato con me si era convinta a comprare la stessa mirrorless che ho io, adesso è in crisi e non sa che cosa fare. Come sempre non so se mettermi a ridere o mettermi a piangere perchè LA FOTO NON LA FA LA MACCHINA, LA FAI TU CHE STAI DIETRO L'OBIETTIVO. Chiunque affermi il contrario, o mente sapendo di mentire o è un emerito imbecille. Io non ho mai fatto corsi di fotografia, ho giusto letto un po' di teoria quando comprai la mia prima macchina negli anni Ottanta, ho fotografato con molta soddisfazione tra l'altro con un pezzo di plastica pagato tre euro e mi sono frantumata i maroni di questa gente che crede di essere migliore di me solo perchè può permettersi di spendere € 2.500 per la Canon Eos 5D.



PS: nella foto qui sopra potete vedere Henri Cartier-Bresson con la sua reflex digitale; mi chiedo se questi idioti si rendono conto che la fotografia esisteva anche prima che venissero inventati il computer e che per cent'anni fotografi con i controcazzi hanno prodotto immagini che hanno fatto la storia utilizzando macchine analogiche. E, se proprio vogliamo continuare a essere cattivi, mi chiedo anche che cosa sarebbero in grado di fare questi photographer senza le loro macchine digitali e Photoshop.

domenica 21 gennaio 2018

Tutankhamun


Da ragazzina ho passato il mio periodo egiziano. Qualcuno mi aveva regalato un libro sui tesori della tomba di Tutankhamon, inoltre il prof di lettere ci aveva fatto leggere Civiltà Sepolte di C. W. Ceram. Quella di Tutankhamon in particolare era una storia che mi affascinava: pensa che bello trovare una tomba piena di oro e farlo a dispetto di tutti quelli che per anni ti hanno detto e ripetuto che non c'era più nulla di interessante da scoprire! Lessi anche altri libri sull'argomento, non ultimo uno che speculava sulla presunta maledizione che avrebbe colpito coloro che si erano permessi di violare il sonno del misterioso faraone adolescente, poi passò un po' di tempo e finì lì, anche se nel corso degli anni visitare le sale egizie dei vari musei in cui mi sono recata è rimasto un grande piacere.


Non potevo quindi non vedere questa miniserie che vede come protagonista Howard Carter, il cocciuto archeologo scopritore appunto della tomba di Tutankhamon. Le quattro puntate coprono un arco temporale di due decenni partendo dal 1905, quando Carter mandò a quel paese un gruppo di turisti francesi perdendo il lavoro. Qualche anno dopo conobbe Lord Carvarnon, ricco e appassionato di reperti egizi; il loro sodalizio andò avanti per molti anni, con una guerra mondiale di mezzo e malgrado momenti di crisi dovuti al fatto che Carter non riusciva a trovare nulla. La serie mi è piaciuta perchè secondo me è riuscita a rendere bene la passione e l'emozione di quegli anni, così come i contrasti fra i vari poteri; ho invece trovato del tutto superfluo l'introduzione di una storia d'amore - inventata di sana pianta - tra la figlia di Lord Carvarnon e Carter. Ci sarebbe anche da discutere sulla scelta dell'attore protagonista, ovvero quel bisteccone di Max Irons che aveva - e dimostrava - trentun anni per tutte e quattro le puntate, a dispetto del fatto che il vero Carter fosse quasi cinquantenne quando vide cose meravigliose.

il vero Howard Carter (sulla sinistra)
all'imbocco della tomba di Tutankhamun

giovedì 18 gennaio 2018

Little Women (piccole donne)


Da bambina lessi Piccole Donne e ne fui conquistata; lo rilessi da adulta e mi fece ribrezzo a causa di come veniva dipinto il ruolo della donna. Del resto è stato scritto a metà dell'Ottocento, è ovvio che ad una ragazza fosse richiesto solo di diventare una buona moglie e una buona madre. Da piccola non potevo cogliere queste sottigliezze e mi piacque invece l'affiatamento delle sorelle, forse perchè sono figlia unica e non ho mai potuto provare nulla del genere. Ovviamente Jo era la mia preferita, mentre detestavo talmente Amy che, se me la fossi trovata davanti, l'avrei presa a schiaffoni. Ci rimasi malissimo quando Jo friendzonò Laurie e ancor peggio quando lui finì per sposare proprio Amy. 

Laurie in lacrime dopo essere stato friendzonato
per la terza e ultima volta da Jo

La BBC l'hanno scorso ha condensato il libro di Louise May Alcott in tre puntate di un'ora ciascuna. Mi sono incuriosita e ho così visto questo adattamento che ha finito per piacermi molto. Penso che il merito sia del fatto che ci si è concentrati sulle vicende in sè e che non è quindi rimarcato come nel libro quello che dovrebbe fare una brava ragazza della sua vita. Poi sì, finisce che sono tutti felici, contenti e sposati con figli, a parte Beth che tira le cuoia come da copione. Oltre a un affiatato gruppo di giovani attori, appaiono anche alcuni veterani, per esempio una magnificamente incartapecorita Angela Lansbury nei panni della zia March.


lunedì 15 gennaio 2018

guardare serie TV solo perchè il protagonista è bonazzo


Lo streaming mi sta devastando. Oddio, è vero che anche prima di tempo davanti allo schermo del computer ne passavo parecchio lo stesso, tanto la sera non esco quasi mai e in fondo è diventato il sostituto della televisione che non guardo da anni. La differenza è che ho cambiato area geografica e dopo un periodo in cui vedevo esclusivamente film e serie coreane o giapponesi, ora vedo anche molte produzioni occidentali. Una delle serie che ho visto recentemente è Sleepy Hollow, tratta molto liberamente dall'omonimo racconto ottocentesco che ha ispirato anche altri lavori (uno su tutti: il film di Tim Burton che per me resta uno dei suoi migliori). Le prime due stagioni sono quelle che più vagamente hanno elementi del racconto, le seconde due se ne distaccano nettamente per seguire un altro filone. Sinceramente il mio interesse è andato via via calando, probabilmente perchè mi sono stufata della solita sequenza di mostri e demoni che vengono regolarmente sconfitti dagli eroici protagonisti anche nelle situazioni più disperate, ma sono comunque arrivata fino all'ultima puntata perchè mi sono presa una scuffia per Tom Mison in versione Ichabod Crane (trucco e parrucco gli donano moltissimo). Tra l'altro ho visto quante più puntate possibile in originale e penso proprio che la sua voce e il suo accento very british abbiamo ampiamente contribuito alla scuffia. E niente, dev'essere anche questa una conseguenza della menopausa.



venerdì 12 gennaio 2018

Guchi e le turbe adolescenziali


A volte mi capita di scegliere un film perchè mi piace il titolo, anche se del film stesso non so nulla. E' capitato con questo, pellicola irlandese del 2016 che, essendo stata doppiata, presuppone una distribuzione nazionale, ma o me lo sono dormito o è passato direttamente in TV. Comunque sia, si è trattato di una bella sorpresa. I protagonisti sono due sedicenni, allievi di un collegio maschile. Ned detesta frequentarlo perchè tutto gira intorno al rugby che lui non pratica e non gradisce; la sua diversità fa sì che tutti lo prendano in giro chiamandolo checca. Conor, il suo compagno di stanza, è appena arrivato e già si è conquistato l'attenzione e la simpatia di tutti perchè invece a rugby è bravissimo. Da principio i due si ignorano, poi finiscono per fare amicizia, ma salta fuori che Conor, diventato la stella della squadra del collegio, è omosessuale. Questo però è il genere di film che finisce bene e quindi sul finale non ci sono tragedie. Insomma, è una pellicola molto gradevole con una bella coppia di protagonisti che riesce nell'intento di dare un messaggio edificante.



Mentre vedevo questo film bello e delicato pensavo che una pellicola del genere è la perfetta antitesi della multisala. A parte che non ho idea se questo film è uscito o uscirà sugli schermi nostrani malgrado il fatto che il regista sia l'italiano Luca Guadagnino. Call Me by Your Name è l'ultimo di una trilogia (ma ciascun film fa da sè) ed è la storia di un amore che nasce tra il diciassettenne Elio e uno degli allievi di suo padre, Oliver. Quest'ultimo è stato invitato a trascorrere una vacanza-studio nella villa della famiglia che è un'isola cosmopolita nella campagna di Crema. E' l'estate del 1983, tutto scorre lento e sonnacchioso al ritmo della new wave; Elio è un adolescente molto dotato ma emotivamente confuso, difatti non appena si rende conto di provare qualcosa per Oliver, ecco che si porta a letto una coetanea. Oliver, dal canto suo, gli lancia dei segnali che inizialmente non vengono colti; alla fine però tra i due si fa chiarezza e inizia una relazione piena di passione che però si conclude quando Oliver fa ritorno negli Stati Uniti. Decisamente un ottimo lavoro che ho apprezzato molto ed il genere di film al quale continuo a ripensare anche dopo parecchio tempo.



Questo film parla di una diciassettenne che fa i capricci. Christine vive a Sacramento ma desidera fortemente andarsene, per questo, malgrado le finanze della famiglia non lo consentano, fa domanda di ammissione a diverse università della East Coast all'insaputa della madre con la quale è ai ferri corti. Snobba l'amica del cuore per stare con una ragazza ricca, odia il proprio nome e costringe tutti a chiamarla Lady Bird, detesta il liceo cattolico che frequenta e anche coi ragazzi non ha molta fortuna. Solo quando si troverà a New York come voleva capirà che in fondo stava benissimo dove stava prima. Film molto carino che ha vinto diversi premi. Guarda combinazione, l'attrice protagonista è quella Saoirse Ronan che ho visto di recente in L'ospite, mentre uno dei suoi ragazzi è interpretato da Timothée Chalamet, ovvero Elio del film di cui sopra.

martedì 9 gennaio 2018

Bright


Di solito le pellicole che prevedono la presenza di elfi ed orchi sono ambientate in epoche non precisate ma apparentemente medievali. Qui invece siamo in una Los Angeles contemporanea. L'agente Ward ha come collega l'orco Jakoby; lui è il primo della sua razza a fare il poliziotto e poichè gli orchi sono discriminati, la vita in polizia non è facile e lo stesso Ward vorrebbe sbarazzarsene. I due però finiscono coinvolti in un grosso pasticcio quando una setta segreta di elfi tenta di riportare in vita il Signore Oscuro; è l'occasione per imparare a fidarsi l'uno dell'altro superando i pregiudizi. 

Will Smith (Ward) e Joel Edgerton (Jakoby)

Non è certo un mistero che mi piaccia il genere fantasy e anche se preferisco l'ambientazione classica devo dire che ho apprezzato questa variazione sul tema. Il film si lascia guardare, sicuramente gli appassionati dell'adrenalina ne saranno rimasti soddisfatti. Anche a me è piaciuto, perchè se non altro riesce a dare spazio ai caratteri dei due protagonisti e al loro rapporto malgrado la continua concitazione. Questo genere di film però li trovo adatti giusto come scacciapensieri, alla fin fine non è che mi lasciano dentro qualche particolare emozione.

domenica 7 gennaio 2018

Napoli velata


Se c'è una cosa che mi fa arrabbiare è arrivare in fondo a un film o a un libro e non capirci un cazzo. E' il caso di quest'ultimo lavoro di Ferzan Özpetek, regista del quale non vedevo qualcosa da molti anni. Confesso infatti di avere una sorta di allergia al cinema italiano; lo so che Özpetek in teoria è turco, e difatti quelle cose sue che avevo visto mi erano piaciute molto, poi è successo come con lo Jägermeister, ma al contrario. Comunque sia, come definire questo film? La cronaca di un'ossessione? Un giallo? Un thriller psicologico? Boh. Il problema sta appunto nel finale, che quando pensi di averci capito qualcosa ti viene il dubbio di non aver capito niente. Vabbè, concludo perchè il film è sugli schermi in questo periodo, non sia mai che vado a rovinare la sorpresa a qualcuno. Niente da eccepire sul cast, l'ambientazione napoletana regala alcuni piacevoli siparietti folkloristici, la storia mi aveva anche intrigato fino a che non ci ho più capito un cazzo. Ah, questo lo avevo già detto, vero? E allora ciao. 

venerdì 5 gennaio 2018

L'ospite - Stephenie Meyer


Il nome del Guaritore era Acque Profonde.
Era un'anima, buona per natura: compassionevole, paziente, onesta, virtuosa e piena d'amore. L'ansia era un'emozione insolita, per lui.

No, non mi sono bevuta il cervello. Non del tutto almeno. Difatti questa scrittrice è l'autrice della celeberrima polpetta saga di Twilight e quindi è logico chiedersi se la Guchi non si sia completamente rincoglionita a leggere uno dei suoi libri. Il fatto è che un po' di tempo fa dovevo finire di spendere un buono e restavano solo pochi euro; non era facile trovare qualcosa per quella cifra, così mi sono messa a guardare nella sezione degli sconti su IBS. Mi è capitato sotto gli occhi questo titolo e prima di realizzare chi fosse l'autrice avevo già letto molte critiche entusiaste - il che in effetti non significa nulla, visto che di critiche entusiaste ne avranno ricevuto anche i vari Twilight dalle fan - poi ho buttato un occhio alla trama e ho visto che i vampiri non c'entravano e così ho deciso di accontentare la mia curiosità. Che dire? Il libro è stata una piacevole sorpresa. Si tratta di una storia che si può definire di fantascienza giusto perchè ci sono gli alieni, difatti ha come presupposto l'esistenza di una razza di parassiti che si spostano di pianeta in pianeta colonizzandoli. E come li colonizzano? Inserendosi come ospiti all'interno delle varie forme viventi. Ok, suona molto Invasione degli Ultracorpi, ma la cosa intrigante è che la Meyer ha scelto il punto di vista degli alieni invasori. Costoro, sbarcati sulla Terra, son convinti di fare del bene perchè gli esseri umani violenti ed egoisti verranno trasformati in una mandria di individui gentili che si preoccupano principalmente del bene altrui. Naturalmente gli esseri umani non sono molto d'accordo, ma la sopraffazione numerica degli alieni non lascia scampo; solo pochi sono ancora liberi e gli alieni si dannano per scovarli e ridurli alla mitezza. E qui entrano in gioco le protagoniste, ovvero l'umana Melanie e l'aliena Viandante; la seconda incontra non poche difficoltà a domare la coscienza della prima e infine viene travolta da ricordi ed emozioni al punto che ne diviene alleata e amica. Poi sì, c'è anche la polpetta amorosa, ma in questo caso penso si possa chiudere un occhio perchè credo che il punto sia piuttosto l'incontro con l'altro -in questo caso alieno - e la scoperta di quelle cose in comune che lo fa diventare uno di noi. La conoscenza in fondo sta alla base della convivenza civile, il superare il concetto dell'altro come nemico - anche se qui di certo gli umani ne hanno tutte le ragioni. Insomma, Stephenie Meyer promossa relativamente a questo romanzo, ma di leggere Twilight non se ne parla, tranquilli XD


Probabilmente per via della fama dell'autrice, da questo libro è stato tratto un film omonimo. L'ho voluto vedere malgrado il coro denigratorio al quale, ahimè, ora mi tocca di dare ragione. Nella trasposizione cinematografica si è perso moltissimo; del resto penso sia difficile tradurre in immagini una storia che si basa in larga parte su un dialogo interiore. Qui la voce di Melanie si fa più forte, al punto da controllare spesso il proprio corpo - cosa che nel libro avviene al massimo due volte - a differenza del romanzo in cui la protagonista assoluta è Viandante, e allo stesso modo si perdono tutte le interazioni tra i personaggi - non solo quelli principali (anche in questo caso comunque molta emozione è andata perduta). Insomma, tra film e libro non c'è paragone; avranno anche mantenuto gli episodi salienti, ma è come se avessero dimenticato di metterci tutto il condimento. Non so che impressione mi avrebbe fatto se l'avessi visto prima di leggere il libro, ma così posso solo concludere che ho sprecato due ore di tempo.

mercoledì 3 gennaio 2018

il perenne stand-by


Sottotitolo:
Va sempre tutto bene, va sempre tutto male.

Stavo pensando che l'anno appena trascorso è stato tutto sommato positivo - perlomeno non è stato troppo nocivo - ma come sempre l'impressione è che lo abbia passato ammazzando il tempo, sempre in attesa della conclusione di certe vicissitudini e della realizzazione di altre cose. Purtroppo non ho voce in capitolo sulle prime e i miei margini di manovra sulle seconde sono limitati dall'esito delle prime. Almeno per una cosa speravo che nel 2017 si sarebbe vista la conclusione, ma come al solito i miei progetti si sono miseramente infranti sugli scogli di questa realtà. In fondo non mi sembra di chiedere molto dalla vita; so bene che sarebbe stupido sperare che vada sempre tutto bene perchè non è così che funziona, ma premesso appunto che possano capitarci sia cose belle che cose brutte, vorrei almeno mettere alcuni punti fissi perchè continuando così resto perennemente ancorata a problemi che mi trascino da anni. Insomma, vorrei poter guardare avanti e basta, che tanto di rogne me ne capiteranno di certo anche di nuove, almeno seppelliamo le vecchie...

lunedì 1 gennaio 2018

i propositi per l'anno nuovo (leggasi: le pie illusioni)


Non so voi, ma a me un anno nuovo fresco fresco, ancora tutto da usare, mette sempre addosso una bella sensazione. E' importante assaporarlo al meglio fin dall'inizio. Per esempio, visto che a San Silvestro non faccio bagordi e arrivo a stento al brindisi di mezzanotte - giusto perchè il marito ci tiene - a Capodanno mi sveglio relativamente presto e mi godo il silenzio. Tutti sono ancora in preda a vari stadi di coma etilico o semplicemente tra le braccia di Morfeo, e la cosa che più di tutte si nota è l'assenza del fruscio delle auto sulla strada. Perciò apro la finestra o esco sul balcone e rimango lì qualche minuto, godendomi l'aria fresca e la quiete. Lo stesso risultato si ottiene anche la mattina di Natale, altra occasione che non mi faccio mai sfuggire. Insomma, quest'atmosfera bucolica oltre a farmi sentire bene, mi fa anche venire voglia di fare la brava, e così il mio cervello comincia a partorire la solita lista: andare a camminare, mettermi in dieta, fare gli esercizi per la schiena, ricominciare a studiare giapponese... Generalmente il tutto dura da due settimane a due mesi, prima che la pigrizia abbia il sopravvento. So molto bene che quest'anno non farà eccezione, eppure non riesco a evitare di formulare tutti questi propositi, è qualcosa di più forte di me.