domenica 30 aprile 2017

aprile soporifero


«Se c'è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c'è una soluzione perché ti preoccupi?»

Dirò la verità: essere di cattivo umore dopo un po' mi stanca. Passate le 4-5 settimane d'ordinanza, ho deciso di affidarmi al parere dei saggi e di rimuovere il muso, cercando di godermi uno dei mesi che preferisco. Tanto al momento attuale posso solo aspettare gli eventi, l'unica cosa che è in mio potere è rendere l'attesa piacevole. Tenendo fede al proverbio aprile dolce dormire, ho passato diverse giornate sonnolente, andando a dormire poco dopo le 22 o abbioccandomi nel pomeriggio. Il sonno però non mi ha impedito di partecipare come di consueto alla 'Roid Week, occasione per tirare fuori dalla vetrinetta le mie belle Polaroid e tentare di farci qualche scatto decente (la colpa non è loro, ma delle cartucce della Impossible, anche se ammetto che quelle più recenti sono migliorate parecchio). La rosa qui sopra è quella che più mi piace tra quelle scattate. Restando in argomento di fotografia, visto che la cosa è ormai ufficiale perchè mi hanno fissato le date, posso comunicare al mondo che il prossimo ottobre farò un'altra mostra fotografica. Ho già in mente l'argomento, devo solo decidere quali foto esporre e come gestirle.



Per il rotto della cuffia, sono stata a Forlì a vedere la mostra Made in Korea di Filippo Venturi, che dà una visione decisamente poco allettante del paese, tra studenti che se non studiano 21 ore al giorno non riescono a sfangarla a scuola, omologazione a 360° e stress a livelli altissimi. Di sicuro non contesto questi dati, anche se penso che non sia al 100% così. La statistica in fondo è quella scienza per cui se tu mangi due polli e io nessuno, risulta che ne abbiamo mangiato uno ciascuno, quindi sono convinta che non sia impossibile trovare anche dei coreani pigri, rilassati e non omologati XD


Il mese è stato concluso in gloria con la mia solita permanenza di alcuni giorni al Far East Film Festival di Udine. E' filato tutto liscio come l'olio, anche perchè ormai sono riuscita a mettere a punto una perfetta tecnica di sopravvivenza e in più quest'anno, tenendo fede al principio del mese, ho anche fatto qualche breve pisolino post-prandiale che mi ha permesso di arrivare a notte fonda senza che mi calasse la palpebra. Sono riuscita a vedere 21 film, dei quali uno era un documentario e l'altro era fuori concorso, e mi sono divertita molto, tanto che già non vedo l'ora che sia il prossimo anno.


Rientrata da Udine nel primo pomeriggio, ho approfittato della giornata di sole e della voglia di sgranchirmi le gambe dopo quasi cinque ore di treno e, afferrate macchina fotografica e bicicletta, sono andata a fare qualche foto per il Pinhole Day. Temo però che a questo giro sarò veramente un miracolo se è uscito qualcosa, visto che ho usato un rullino scaduto nel 1990 e che per giunta ho intenzione di crossare. Siccome però sono un'inguaribile ottimista, spero di avere almeno una bella sorpresa.

mercoledì 26 aprile 2017

e si va anche quest'anno!


Ci risentiamo la prossima settimana, sempre che non sia la volta che mi parte un embolo...


martedì 25 aprile 2017

la Barcellona noir di Carlos Ruiz Zafón


Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei Libri Dimenticati. Erano le prime giornate dell'estate del 1945 e noi passeggiavamo per le strade di una Barcellona prigioniera di un cielo grigiastro e di un sole color rame che inondava di un calore umido la rambla de Santa Mónica.



Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta qualche moneta o un elogio in cambio di una storia. Non dimentica mai la prima volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se riuscirà a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della giornata e soprattutto quanto più desidera: il suo nome stampato su un miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui.


Quell'anno, prima di Natale, ci toccarono soltanto giorni plumbei e ammantati di brina. Una penombra azzurrata avvolgeva la città e la gente camminava in fretta coperta fino alle orecchie, disegnando con il fiato veli di vapore nell'aria gelida.



Quella notte sognai di tornare nel Cimitero dei Libri Dimenticati. Avevo di nuovo dieci anni e mi svegliavo nella mia vecchia stanza avvertendo che la memoria del viso di mia madre mi aveva abbandonato. Nel modo in cui si sanno le cose nei sogni, sapevo che la colpa era mia e soltanto mia perchè non mi meritavo di ricordarlo e perchè non ero stato capace di renderle giustizia.


Avevo letto L'Ombra del Vento molti anni fa alla sua uscita, pertanto ricordavo solo che mi era piaciuto moltissimo. Qualche tempo fa in biblioteca mi sono imbattuta ne Il Labirinto degli Spiriti e ho deciso di leggerlo, pur con qualche riserva. Il problema è che quando si conserva un ottimo ricordo di qualcosa, si è più facili alla delusione. Questo libro, ultimo della serie del mondo del Cimitero dei Libri Dimenticati, rischiava infatti di deludermi proprio a causa del buon ricordo del primo. E' andata a finire che invece ne ho apprezzato lo stile hard-boiled gotico e mi ha conquistato il personaggio di Alicia, tanto che poi sono andata alla ricerca degli altri due della serie (belli anche loro, ma mi sono piaciuti un pochino meno) e infine ho deciso di rileggermi anche L'Ombra del Vento. Bè, sono lieta di annunciare che la rilettura è stata piacevole come la prima volta. Secondo me il primo è decisamente il migliore; ha tutti gli elementi della tragedia e del melodramma, anche se riesce a procedere senza troppe melensaggini, oltre che a fare produrre una lacrimuccia finale. Magari fra altri quindici anni, quando l'avrò di nuovo del tutto dimenticato, lo leggerò ancora.

giovedì 13 aprile 2017

meglio tacere 2 (ma questa volta io non c'entro!)


Mentre rimescolo tra i calzini, la signora rimprovera l'ambulante che si è rivolto in arabo al suo giovane collega.
«Gli devi parlare in italiano, così impara.»
L'uomo la guarda e tace. Lei insiste:
«Siete in Italia, dovete parlare italiano. Parlate in italiano anche tra di voi, così imparate tutti.»
L'ambulante ribatte che il ragazzo parla italiano meglio di lui, ma la donna non si arrende.
«E allora perchè non parlate italiano anche fra di voi, così capiamo tutti quello che dite?»
A quel punto, fossi stata io, avrei chiuso la discussione con un vaffanculo (in arabo o in italiano, non importa), mentre l'uomo, che è gentile ma evidentemente tenace, fa notare alla signora che comunque lui parla quattro lingue (arabo, italiano, spagnolo e francese) mentre noi italiani quasi sempre ne parliamo solo una (e spesso a sproposito, aggiungerei). La signora, per nulla impressionata, continua a ribadire che siamo in Italia e quindi si deve parlare tutti in italiano.
Non so chi a vinto, perchè a quel punto me ne sono andata.


mercoledì 12 aprile 2017

Post scriptum - Alain Claude Sulzer


Non era lui che sua madre chiamava. «Tobias!», stava chiamando invece, Tobias che giocava a nascondino coi figli dei vicini e che però non la sentiva o non voleva sentirla, e non rispondeva.

Difatti Tobias era appena annegato. Comincia col trauma che determina il corso della vita del protagonista questo bel romanzo che, se dovessi definirlo con una parola sola, chiamerei malinconico. A parte il prologo e il finale, il racconto si divide tra la Svizzera del 1933 e la New York del 1949. Il protagonista è il più popolare attore di lingua tedesca dell'epoca, Lionel Kupfer (personaggio inventato che si muove tra altri invece realmente esistiti, non ultimo Luchino Visconti) ed ha due segreti che corrispondono ad altrettanti gravi difetti per l'epoca: è ebreo e omosessuale. Mentre trascorre una vacanza in un albergo di montagna, l'ascesa al potere di Hitler pone fine alla sua carriera; trasferitosi in America, non ottiene che ruoli da comparsa, trascorrendo il tempo perso nei ricordi della sua brillante vita precedente e dei suoi amanti. La malinconia è appunto il sentimento che prevale, ma lo fa fin da subito, quando il mondo non è ancora precipitato nel caos, quasi come se per Lionel la felicità non fosse un'opzione realistica. Il finale non è tragico, malgrado le premesse, lascia anzi aperto uno spiraglio per i lettori più ottimisti. Il tutto mi è piaciuto molto perchè apprezzo questo stile, evocativo ma non gridato, costellato di eventi tristi ma non melodrammatico. Molto misurato, insomma, come una ricetta dagli ingredienti perfettamente dosati.

sabato 8 aprile 2017

la signora Cavolo Nero


Mi piace molto andare al mercato, a parte il sabato mattina che c'è in giro anche il porco, soprattutto se è una bella giornata di primavera con Pasqua alle porte. Tutti a fare compere e a cercare di ingombrare il suolo pubblico nella maniera più irritante possibile. Se si è fortunati, alla faccia della privacy si possono cogliere interessanti brandelli di conversazione, come il tizio che chiede all'amico aggiornamenti su di un reato del quale è stato vittima (furto?) e l'amico gli risponde che ha chiamato i Carabinieri per avere notizie e sono stati loro a chiedere a lui se aveva delle novità. Alla faccia della giustizia fai da te, insomma. Intanto ho raggiunto l'ortolana, alla quale avevo chiesto di mettermi da parte le prime fragole della sua produzione perchè al momento ne ha ancora poche e io esco di casa tardi, perciò rischio che quando arrivo le ha già vendute tutte come giovedì scorso. Mi consegna il sacchetto e mi cade l'occhio sul biglietto all'interno: signora Cavolo Nero. In effetti, visto che non sa il mio nome, è naturale che affidi la memoria della mia persona a qualche elemento distintivo e lo scorso inverno ho comprato più cavolo nero dell'intera città di Firenze.

mercoledì 5 aprile 2017

Lo zio Oswald - Roald Dahl


Mi coglie, di nuovo, la voglia di rendere omaggio a mio zio Oswald. Parlo ovviamente del defunto Oswald Hendryks Cornelius, l'intenditore, il buongustaio, il collezionista di ragni, scorpioni e bastoni da passeggio, l'esperto di porcellane cinesi, il seduttore di donne e senza grandi dubbi il maggior fornicatore di tutti i tempi.


Adoro Roald Dahl fin da quando l'ho scoperto, molti anni fa, come autore di libri per bambini. Adoro sia la sua fantasia che la sua scorrettezza politica, perciò non mi ha meravigliato leggere questo suo romanzo per adulti che gronda umorismo e porcherie. In effetti mi sono sganasciata dal ridere dall'inizio alla fine. Il fantomatico zio Oswald racconta come ha costruito la propria fortuna: prima vendendo l'antesignano del Viagra, poi procacciandosi lo sperma di uomini famosi per costruire una banca del seme esclusiva da rivendere alle loro ricche ammiratrici. Di certo un grande esercizio di immaginazione, oltre che un grandissimo spasso.

lunedì 3 aprile 2017

meglio tacere


Vorrei che mi spiegassi che genere di destino è quello per cui ogni cosa che desidero e che si avvera finisce in realtà per ritorcersi contro di me, se sono io che sbaglio desiderio o se è proprio una presa per il culo cosmica, con Dio che siede nella sua poltrona di nuvole e sghignazza, ah ah ah, guarda quella cogliona della Guchi che si credeva di avere ottenuto quello che voleva e invece ora si macera nell'arterio. Che sono testona lo so, che voglio fare le cose a modo mio, o tutto o niente, pure, perciò che dici?, è colpa del fatto che talvolta mi stufo del niente che ho e credo di stringere in mano tutto che sbaglio a valutare la situazione e ci resto male? C'è chi dice che per essere felici non bisogna avere aspettative, benedetto chi ci riesce, ammesso che esista. Io faccio una gran fatica a ricacciare la speranza nel fondo del cassetto, ma quella regolarmente mi rimbalza sul naso, sempre a sproposito ahimè. Devo concludere che non ho abbastanza fortuna o che la fortuna da sola non basta; dovrei veramente abbassarmi a seguire certe dinamiche se voglio ottenere certi risultati, però continuo a rifiutarmi di farlo perchè il mio orgoglio me lo impedisce (o forse non è orgoglio, è un misto di pigrizia e mancanza di autostima). Di conseguenza, conoscendo la cura e rifiutandomi di sottopormici, dovrei in alternativa abbracciare la mia malattia e non lamentarmene; di solito lo faccio anche, a parte le volte in cui, come questa mattina, mi fanno andare giù la catena.