Era da un sacco di tempo che non guardavo la TV, per la precisione da quando è finito True Blood. Quando ho saputo che era stata tratta una serie dal ciclo di Shannara però non ho saputo resistere, e la visione di The Shannara Chronicles è diventato un appuntamento fisso. La Spada di Shannara è il romanzo che mi ha fatto conoscere il genere fantasy; ricordo ancora con quanto entusiasmo lo lessi da adolescente, inframmezzando la lettura con merende a base di michette, burro e marmellata d fragole. Lessi poi tutti i libri del ciclo e altre cose di Terry Brooks. Devo ammettere che è passata molta acqua sotto i ponti da che ho letto questi libri, di conseguenza ne ricordo trame e personaggi in maniera piuttosto sommaria; le condizioni ideali per affrontare la visione della serie, insomma, poichè il 99% delle volte resto delusa dalle trasposizioni cinematografiche dei libri. Confesso che in un primissimo momento The Shannara Chronicles mi hanno lasciata un po' interdetta; dalle mie letture giovanili ricordavo una trama meno concitata anche se, lo ammetto, potrebbe essere un errore di memoria. Ad ogni modo ho deciso che la cosa migliore da fare è prendere la serie come un oggetto a sè stante e così la sto apprezzando di più. Inutile dire che gli effetti speciali sono molto ben fatti; i personaggi poi hanno tutte le caratteristiche per risultare gradevoli e/o interessanti, compreso l'essere interpretati da attori di bell'aspetto (perchè, diciamolo: anche l'occhio vuole la sua parte XD). Insomma, per gli appassionati di fantasy è sicuramente una serie da non perdere.
sabato 30 gennaio 2016
lunedì 25 gennaio 2016
il figlio di Saul
Confesso che non avevo molta voglia di farmi dare delle martellate sui maroni, però l'appuntamento della domenica pomeriggio con il cinema sta diventando un vizio, così le ottime critiche ricevute mi hanno convinta ad andare a vedere questo film, inoltre fra poco è il Giorno della Memoria, diciamo che ho semplicemente anticipato la ricorrenza. Il film, che segna l'esordio alla regia dell'ungherese László Nemes (autore anche delle musiche e co-autore della sceneggiatura) ha vinto il Gran Premio Speciale della Giuria all'edizione 2015 del Festival di Cannes, il Golden Globe per i miglior film straniero ed è pure candidato all'Oscar per la stessa categoria. E' ambientato in quel di Auschwitz-Birkenau, e già questo dettaglio è sufficiente a far partire il magone, visto che ricordo ancora bene il senso di angoscia che mi ha suscitato la visita di quei luoghi, luoghi ora ridotti quasi completamente a macerie ma che il cinema ci ha abituato a vedere nella loro dimensione originale. C'è da dire però che questo film è claustrofobico e quindi ci sono poche riprese in esterni, quasi nessuna in campo lungo.
Ecco, claustrofobico lo è certamente, e pesante quasi al limite del sopportabile per via dell'estremo realismo della messa in scena. Difatti mi viene da dire che la trama possa essere solo un pretesto per la rappresentazione dell'orrore; ho trovato fra l'altro originale il frequente uso dello sfocato, quasi a voler sottolineare che sì, l'orrore c'è ed è il contesto in cui si muove il protagonista, ma noi non siamo guardoni che vogliamo indulgere nel dettaglio. Questo orrore sfocato addirittura aggiunge un ulteriore orrore, quasi come se il non vedere chiaramente sottolineasse il fatto che le persone a quell'orrore prima o poi finivano per abituarsi, a non vederlo più. Ed ecco che entra in scena Saul, che invece ad un certo punto vede qualcuno: un ragazzino sopravvissuto al gas che ancora respira (per poco, perchè viene soffocato subito dopo e spedito a fare l'autopsia). Saul si convince che quel ragazzino sia suo figlio; dico questo perchè ritengo che la sua sia un'allucinazione, che in realtà di figli non ne abbia proprio. Magari sbaglio e bisognerebbe chiedere al regista. Ad ogni modo Saul, che fa parte di un Sonderkommando (i prigionieri che aiutavano i nazisti nell'uccisione degli altri prigionieri e nello smaltimento dei loro averi e dei loro resti), decide che il ragazzino suo presunto figlio deve ricevere un vero funerale e venire seppellito, a differenza di tutti gli altri che sono cremati, e quindi si mette alla ricerca frenetica di un rabbino dopo aver trafugato il corpo dall'ambulatorio. Assistiamo quindi al suo andirivieni che ha per sfondo le attività quotidiane dei Sonderkommando. Soggetti questi che sono insieme vittime e carnefici, in quanto sanno benissimo che se si ribellano verranno a loro volta uccisi, così come sanno che verranno rimpiazzati da altri dopo pochi mesi, e difatti i Sonderkommando stanno organizzando una fuga alla quale finisce per unirsi anche Saul. Le due signore che sedevano vicino a me ad un certo punto se ne sono andate. Le capisco, questo non è un film per animi sensibili. Alla fine non riesco nemmeno a dire che mi è piaciuto perchè una cosa così non può piacere; anche se non sono pentita di essere andata a vederlo, non è certo un film che desidero rivedere, come invece altri sull'Olocausto (prima fra tutti Schildler's List). Probabilmente il motivo è, oltre alla crudezza, il fatto che non c'è speranza nè umanità.
Ecco, claustrofobico lo è certamente, e pesante quasi al limite del sopportabile per via dell'estremo realismo della messa in scena. Difatti mi viene da dire che la trama possa essere solo un pretesto per la rappresentazione dell'orrore; ho trovato fra l'altro originale il frequente uso dello sfocato, quasi a voler sottolineare che sì, l'orrore c'è ed è il contesto in cui si muove il protagonista, ma noi non siamo guardoni che vogliamo indulgere nel dettaglio. Questo orrore sfocato addirittura aggiunge un ulteriore orrore, quasi come se il non vedere chiaramente sottolineasse il fatto che le persone a quell'orrore prima o poi finivano per abituarsi, a non vederlo più. Ed ecco che entra in scena Saul, che invece ad un certo punto vede qualcuno: un ragazzino sopravvissuto al gas che ancora respira (per poco, perchè viene soffocato subito dopo e spedito a fare l'autopsia). Saul si convince che quel ragazzino sia suo figlio; dico questo perchè ritengo che la sua sia un'allucinazione, che in realtà di figli non ne abbia proprio. Magari sbaglio e bisognerebbe chiedere al regista. Ad ogni modo Saul, che fa parte di un Sonderkommando (i prigionieri che aiutavano i nazisti nell'uccisione degli altri prigionieri e nello smaltimento dei loro averi e dei loro resti), decide che il ragazzino suo presunto figlio deve ricevere un vero funerale e venire seppellito, a differenza di tutti gli altri che sono cremati, e quindi si mette alla ricerca frenetica di un rabbino dopo aver trafugato il corpo dall'ambulatorio. Assistiamo quindi al suo andirivieni che ha per sfondo le attività quotidiane dei Sonderkommando. Soggetti questi che sono insieme vittime e carnefici, in quanto sanno benissimo che se si ribellano verranno a loro volta uccisi, così come sanno che verranno rimpiazzati da altri dopo pochi mesi, e difatti i Sonderkommando stanno organizzando una fuga alla quale finisce per unirsi anche Saul. Le due signore che sedevano vicino a me ad un certo punto se ne sono andate. Le capisco, questo non è un film per animi sensibili. Alla fine non riesco nemmeno a dire che mi è piaciuto perchè una cosa così non può piacere; anche se non sono pentita di essere andata a vederlo, non è certo un film che desidero rivedere, come invece altri sull'Olocausto (prima fra tutti Schildler's List). Probabilmente il motivo è, oltre alla crudezza, il fatto che non c'è speranza nè umanità.
sabato 23 gennaio 2016
my own personal flashmob
In molte città d'Italia oggi si terranno manifestazioni a sostegno delle unioni civili riunite sotto il titolo di Svegliatitalia, proprio perchè l'idea è quella di fare suonare tutti insieme le proprie sveglie a un'ora stabilita. Devo confessare che io non sono tipo da manifestazioni eppure ho preso in seria considerazione di trascinare il culo fino a Bologna perchè a questa cosa ci tengo. Ci tengo e non capisco il motivo per cui tanta gente si deve sentire minacciata. Non mi risulta che l'estensione di un diritto abbia mai causato danni a chi quel diritto ce l'aveva già. E potrei dire altro, ma ho appena finito di mangiare e sono in fase pre-pennica. Comunque alla fine a Bologna non ci vado perchè mi toccherebbe perdere tutto il pomeriggio e invece ho delle cose da fare qui, di conseguenza ho deciso che mi faccio il flashmob a domicilio. Alle 16 la sveglia del mio cellulare suonerà Fuck you di Lily Allen, che mi pare la più adatta a questo contesto XD
venerdì 22 gennaio 2016
leave a note
Per fortuna Facebook non è solo un covo di fascisti, razzisti e omofobi; a volte ci si possono trovare anche delle iniziative interessanti. Per esempio, questo evento chiamato Leave a note che consiste nello scrivere un messaggio incoraggiante su di un biglietto lasciandolo poi in giro, in modo che qualcuno lo trovi. Suona come una sciocchezza o un gesto inutile? In realtà io credo che, al di là di chi trova e legge il biglietto e del fatto che quelle parole gli stampino o meno un sorriso sulle labbra, questa iniziativa faccia soprattutto bene a quelli che vi partecipano. Si tratta di rivolgere il nostro sguardo al prossimo, cosa che non mi sembra così scontata di questi tempi in cui tutti guardano, ma pochi vedono. Il tutto rientra nella filosofia del praticare gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso, per come la vedo io. Ecco, se dovessi esprimere il mio secondo proposito per il 2016, credo proprio che sarebbe questo. Eh sì, ci devo lavorare su questa cosa!
mercoledì 20 gennaio 2016
la zingarata numero uno
Finora l'unico buon proposito fatto per il 2016 è quello di fare almeno una zingarata al mese. La zingarata per me è una gita o un viaggio elastici, ovvero una situazione in cui mi faccio guidare più dal naso e dalla macchina fotografica che da altro, ad esempio da programmi definiti. Un'altra caratteristica della zingarata è che si compie in solitaria, per questo, a voler essere fiscali, la prima zingarata dell'anno non potrebbe ricadere nella definizione perchè ero in compagnia del marito, ma siccome a parte il viaggio in macchina siamo andati ognuno per i fatti propri, ho deciso di chiudere un occhio. Avevo voglia di andare al mare; adoro il mare fuori stagione, specialmente in inverno, ma il tempo in novembre e dicembre è stato pessimo. Finalmente in gennaio è arrivato un po' di sole e mi sono affrettata ad approfittarne, anche perchè volevo provare una macchina fotografica nuova. Difatti ho passato quasi tutto il tempo a fotografare perchè ero in crisi di astinenza, mentre il marito passeggiava lungo la spiaggia. La giornata era talmente bella da commuovere; per l'occasione abbiamo violato il motto "stessa spiaggia stesso mare" per provare invece una meta nuova: Lido di Classe. E adesso lascio parlare le immagini...
lunedì 18 gennaio 2016
Libri Mai Mai Visti - 21° edizione
Da quando ho conosciuto questa iniziativa alcuni anni fa, non mi sono mai persa un'edizione. Libri Mai Mai Visti, organizzato dall'associazione culturale VACA, è un concorso riservato a libri manufatti inediti. La cosa che a me piace è vedere come la creatività si manifesti in tante forme diverse, da chi reinventa un testo noto a chi scrive di proprio pugno, utilizzando i più svariati materiali. Trovo la cosa molto divertente e non nascondo che mi piacerebbe partecipare, anche se finora non l'ho fatto perchè non mi è mai venuta l'idea giusta.
sabato 16 gennaio 2016
breve giro virtuale
Ho scattato qualche foto dopo aver finito di allestire la mostra ieri pomeriggio. Non sono il massimo, del resto gli spazi sono quelli che sono, ma almeno rendono l'idea.
Ho avuto qualche difficoltà ad appendere le cornici, per questo non sono soddisfatta al 100% di come è venuto l'allestimento. Sono una maniaca della simmetria e della precisione, vedere alcune cose leggermente storte o che non formano un insieme armonico mi dà fastidio, però in alcuni casi non poteva venire meglio di come ho fatto, in altri pensare di rifare da capo sarebbe stata una cosa da taglio delle vene. Insomma, è una mostra imperfetta fin dall'allestimento, ma va bene così. La perfezione del resto può risultare noiosa XD
martedì 12 gennaio 2016
chi è causa del suo mal, pianga se stesso
Mio padre aveva le sue battute ricorrenti e questa è una di quelle. La frase è quanto mai attuale per me in questi giorni, ovvero da quando ho messo in moto il baraccone della mostra fotografica. A dire così sembra che abbia fatto chissà che cosa, quando ho semplicemente creato un evento su Facebook invitando i miei amici ed ho passato alla libreria che mi ospita una breve presentazione, presentazione che è stata girata ai giornali locali. Confesso che quando ho visto il titolo "Alla Libreria Tal dei Tali la mostra fotografica di Guchi Chan" ho fatto un balzo sulla sedia perchè mi sono sentita quasi violata. Lo so che può sembrare una grande contraddizione, ma il fatto è che, come dicevo stamattina a una conoscente, io me ne sto bene chiusa nella mia grotta da sola. Non sono mai stata il tipo da sbandierare la mia presenza in alcun modo, figuriamoci vedere il mio nome scritto sul titolo di un articolo di giornale! Confesso che la notte non ho dormito per l'agitazione, poi per fortuna mi sono calmata. La mia dopotutto è una piccola città e francamente non so quanta gente legge i giornali locali; se lo fanno, quelli che si soffermano sulle pagine della cultura sono ancora meno, inoltre ho sempre notato che nella mia città esistono fondamentalmente due gruppi di persone: l'intellighenza, che è del tutto autoreferenziale, e la massa del volgo, che passa la domenica pomeriggio al centro commerciale. Così mi sono tranquillizzata; resto convinta che la cosa passerà pressochè inosservata, e del resto non l'ho fatta per attirare l'attenzione, ma perchè avevo bisogno di fare una sorta di regalo a me stessa. Anche su Facebook le cose sono state interessanti, nel senso che credo di aver visto il vero volto di alcune persone. Non starò qui a recriminare, nè mi metterò a rimuoverle, mi limito a prendere atto; del resto almeno in un caso si tratta di una conferma, non di una sorpresa. La vita vera non è su Facebook e dagli amici veri di brutte sorprese per fortuna non ne ho. Comunque sia, per fare bilanci è troppo presto, visto che la mostra non è nemmeno cominciata! Vada come vada, la considero un ulteriore passo avanti nella mia crescita personale.
sabato 9 gennaio 2016
la mia prima volta
Signore e Signore (perchè mi sa tanto che di uomini qui non ne passano), vi annuncio che sabato prossimo apre la mia prima mostra fotografica. Che detto così potrebbe sembrare una cosa seria, e invece. Devo farmi da un po' indietro, ovvero dall'estate scorsa, quando un bel giorno mi è venuta questa folgorazione: voglio fare una mostra delle mie foto. Penso spesso al mio cervello come a una sorta di pentola a pressione, anche se il processo è molto più tranquillo dell'acqua che bolle. Dentro la mia testa però ci sono tante suggestioni, tanti pensieri, insomma tante cose che fluttuano continuamente e talvolta entrano in collisione, formando appunto quelle idee che balzano fuori all'improvviso e sembrano l'impulso di un momento, quando credo invece siano frutto di tutto quel lento inconscio rimescolamento. E così non appena si è manifestata, l'idea di fare una mostra delle mie foto era già tanto concreta che era impossibile ignorarla. Altrettanto velocemente ho deciso quali foto avrei esposto. Apparentemente la scelta avrebbe potuto condurmi in manicomio, dato che fotografo da quando avevo sedici anni e, a parte un numero di concorsi che si conta sulla punta delle dita, non ho mai esposto nulla. Avete idea di quante foto ho scattato in trentaquattro anni? Nemmeno io, se per questo, ma abbastanza da poterle definire troppe. Però già un paio di anni fa un'amica mi aveva spronato a partecipare al SI Fest di Savignano sul Rubicone; l'avevo anche fatto ma il mio progetto era stato prevedibilmente ignorato. Ricordo che avevo preparato tutto con grande entusiasmo e quindi, non appena deciso di fare la mostra, mi è altrettanto rapidamente venuto in mente quel progetto lì e via. Anche trovare un posto dove esporre le foto è stato semplice. Ovviamente non volevo dover spendere soldi, ma per fortuna in città ci sono alcuni luoghi che offrono spazi gratuiti; a parte un bar che mi deve ancora rispondere (complimenti per la professionalità XD) e una piccola sala che ho escluso subito perchè sarebbe toccato a me essere sempre presente, restavano due librerie. Esporre in mezzo ai libri è una cosa che mi piace, tra l'altro conosco i gestori di entrambe e tutti si sono mostrati molto disponibili; ho scelto quella che ha più spazio a disposizione e a quel punto non mi è restato altro da fare che aspettare che arrivasse il grande giorno, che è il sedici gennaio. Non posso dire che inauguro nel vero senso della parola perchè ho deciso di non fare un'inaugurazione ufficiale; i miei amici si sono divisi tra quelli che sanno molto bene come sono fatta e quindi hanno accettato la cosa senza un battito di ciglia, e quelli che invece hanno detto che avrei dovuto farla (in effetti questi erano gli amici di mio marito). Lascerò una ciotola con le caramelle, così troveranno da consolarsi. La mostra s'intitola Momenti (in)dimenticabili ed è composta da una ventina di fotografie (tutte analogiche, of course) che hanno come soggetto Ken-chan, ovvero il bambolotto giallo della foto in apertura. Ken-chan è da qualche anno il mio compagno di viaggio e lo fotografo come fotograferei una persona vera o come vorrei venire fotografata io. Il problema infatti è che i miei famigliari (quando ci sono, perchè spesso viaggio sola) aborrono l'obiettivo e io sono così poco fotogenica che quasi mai mi faccio fotografare. Insomma, Ken-chan è diventato una sorta di mio alter-ego o di sostituto. Per me però in questo progetto vuole esserci anche una piccola presa in giro della mania dilagante dei selfie. Ormai tutti si fotografano in maniera massiccia e indiscriminata, mentre queste foto sono state realizzate nello spirito della mia infanzia, quando si scattava di meno e si usava un po' più di criterio. A dire la verità, c'è sempre stato un grande spirito ludico dietro a queste foto, nel senso che quando le scattavo non stavo certo a pensare al progetto o a dar loro un significato, piuttosto stavo sghignazzando, quando non ridendo apertamente. Proprio per questo mi auguro che quei quattro gatti che visiteranno la mia mostra (ovvero i miei pochi amici e un paio di visitatori occasionali) allo stesso modo escano sghignazzando o ridendo apertamente. Perchè io non sono una photographer, ma solo una che fa le cose perchè si diverte ^__^
giovedì 7 gennaio 2016
Carol
In tempi di multisala considero straordinario che in una città delle dimensioni della mia resistano ben tre sale tradizionali. Da un paio d'anni ho preso l'abitudine di andare al cinema nel pomeriggio della domenica o dei giorni festivi, e certamente non sono occasioni in cui il pubblico sia particolarmente folto, per cui sono rimasta meravigliata quando ieri pomeriggio ho trovato la fila fuori dalla porta. Mi devo essere dormita qualcosa, visto che non avevo idea che questo film suscitasse tanto interesse. Tratto da un romanzo di Patricia Highsmith (che credevo avesse scritto solo thrillers) e diretto da Todd Haynes (che non è nuovo alle ambientazioni anni Cinquanta, vedi l'ottimo Lontano dal Paradiso), narra dell'innamoramento di due donne: Carol e Therese.
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una Cate Blanchet particolarmente misurata interpreta Carol; quest'attrice mi piace da sempre e la considero molto brava |
Carol sta divorziando dal marito e ha una figlia piccola, mentre Therese fa la commessa in un grande magazzino ed è fidanzata. Le due si conoscono proprio nel grande magazzino e l'attrazione è immediata, ma la situazione non è facile proprio a causa del divorzio di Carol. Il marito infatti cerca di strapparle la custodia della figlia per motivi di moralità, in quanto la donna già in passato ha avuto una relazione con un'amica. Quando Carol e Therese partono insieme, assume un investigatore privato che trovi le prove della loro relazione.
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Rooney Mara, ovvero Therese, con in mano una splendida Argus |
Gli anni Cinquanta sono stati decisamente un pessimo periodo sotto diversi punti di vista e questa storia ne è l'ennesima dimostrazione. Devo confessare però che questo film, anche se mi è piaciuto, non mi ha entusiasmato. Ovvero: la trama è interessante, gli attori sono bravi, però secondo me manca di pathos e non ho capito se ciò sia causa di una precisa scelta registica o se sia proprio un difetto. Il fatto che i personaggi siano così trattenuti probabilmente dipende dal contesto in cui si muovono, contesto in cui le persone dovevano soffocare i proprio veri sentimenti e la propria natura per poter sopravvivere. Per questo motivo è singolare anche l'epilogo, non così scontato. Solo il personaggio di Carol si lascia andare a un paio di gesti esagerati. Insomma, mi aspettavo qualcosa che mi toccasse di più, visto l'argomento.
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